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In principio fu Reteitalia (1981-1989). “Nei primi anni Ottanta, Goffredo Lombardo della Titanus raccontò a mio fratello Luciano che c’era un signore di Milano, un imprenditore televisivo, un certo Berlusconi, che gli aveva offerto un miliardo per 100 titoli del loro listino”, ricorda il regista Sergio Martino. “Il rapporto con il cinema da parte di Mediaset partì con massicce acquisizioni di film, tanto di library importanti, come quella Titanus di Lombardi e quella di Rizzoli, quanto di pacchetti un tanto al chilo”, sistematizza l’organizzatore generale Mario Anniballi. Chiosa il produttore Claudio Bonivento, “aveva capito tutto Franco Cristaldi, che una volta mi disse: ‘Oggi è la tv che corre dietro al cinema, tra trent’anni sarà il cinema a correre dietro alla tv’. Aveva ragione, eccome!”.
Poi venne Penta (1990-1994), l’unica major italiana, un quinquennio irripetibile, e conflittuale se non controverso, firmato Silvio Berlusconi e Mario e Vittorio Cecchi Gori. Fifty-fifty? Insomma: “Penta era soprattutto Cecchi Gori. Loro conoscevano le grandi dinastie del cinema italiano, dai Risi ai Vanzina, avevano il know-how del prodotto cinematografico” (Maurizio Tedesco, produttore); “Nella società erano i Cecchi Gori a dare le carte, a trattare con registi e attori, a sviluppare i progetti, a seguire la lavorazione” (Giuseppe Tornatore). E l’ineffabile Enrico Vanzina per - obtorto collo? - Consulente Generale: “I soci non erano veri amici e ognuno sospettava dell’altro. I Cecchi Gori probabilmente prendevano qualche vantaggio sui costi di produzione. Quelli di Berlusconi si rifacevano, abbassando un po’ i prezzi di acquisto tv dei film. Forse sbaglio. Comunque la Penta è stata una grande società. Ma pur sempre all’italiana…”.
Quindi Medusa (1997-oggi). “La sua origine suscitava molte diffidenze e sospetti nel mondo del cinema tradizionale, che vedeva Medusa come troppo legata alla televisione, senza dimenticare il momento politico”, ricorda Giampaolo Letta, attuale ad e vicepresidente. Dunque, “la svolta” con Tre uomini e una gamba del trio Aldio, Giovanni e Giacomo e Radiofreccia di Ligabue, poi “gli autori che sdoganano” Scola, Tornatore e Bertolucci, lo scouting tra i talenti emergenti Crialese, Sorrentino e Vicari, il caso L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, negli anni Zero la “tenitura” dei Pieraccioni, Vanzina e le new entry Ficarra e Picone, Zalone e Genovese. Per tutti, o quasi, carta bianca: “Se si pensa che il protagonista di L’amico di famiglia è Giacomo Rizzo… Ma nessuno ci ha detto di cambiare l’attore”, rammenta Nicola Giuliano.
Mediaset e il cinema italiano Film, personaggi, avventure, a cura di Gianni Canova e Rocco Moccagatta (pp. 376, Mondadori, € 60,00), ha il pregio indefettibile di indagare l’altro cinema, quello mutaforma del Biscione, con la virtù accessoria di regalare sorprese, ossia di chiedere al lettore una cinematograficamente paritetica sospensione dell’incredulità: esempio, la produzione Be.Ma., dove la Be sta per Berlusconi, di Bianca di Nanni Moretti.
Già, i film. L’allenatore nel pallone da mandare in Rete-italia, il premio Oscar Mediterraneo per un inedito Penta(teuco), una seconda statuetta per La grande bellezza in capo, ehm, a Medusa: eppure i titoli non fanno la storia, c’è nell’elegante volume un’industriosità primigenia, che è percepita, esplicitata, cantata. Questione di marketing strategico (RTI), via Link. Idee per la televisione, è un compendio umano, qui e là perfino troppo umano, ai cinquecento titoli tenuti a battesimo “e una buona fetta di immaginario nazionale”.
Finali col botto. Trinità autoriale per Reteitalia: La moglie ingenua e il marito malato di Monicelli, Il vizio di vivere di Dino Risi e Mano rubata di Lattuada (1989). Canto del cigno per Penta: Il postino di Troisi e Redford (1994). E Medusa? Non finisce, rilancia la linea, oramai l’unica, autoctona: nel 2022/2023 accarezza i risultati di Il più grande giorno di Aldo, Giovanni e Giacomo, maggiore incasso italiano dall’inizio della pandemia, e La stranezza di Roberto Andò, il terzo.
Tocca prestar fede a Jep Gambardella (Toni Servillo), che accomodato al Salone delle Fontane dell’Eur campeggia in copertina, e all’explicit de La grande bellezza: “Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco”. Lo è quest’altro romanzo, lo è il cinema, un trucco, ancor più nell’accezione una e bina del Biscione: piccolo grande schermo, ché “per una società cinematografica (Medusa, NdR) che si sviluppa accanto, e poi dentro, a un’impresa televisiva (Mediaset, NdR), la messa in onda dei film prodotti è una questione cruciale”.
Ponderoso e ponderato, ricco di contributi critici e, infinitamente più interessanti, testimonianze dei protagonisti, il volume coffee table è croce e delizia in campo lungo e piano italiano. La croce, come sempre, si fa preferire, e a portarla è anche Peppuccio Tornatore: “Un critico alla proiezione per la stampa disse: ‘Per me può essere Kubrick, ma io comunque lo stronco!’ e così fece, attaccando il film in maniera infamante, dicendo che non si parlava di mafia perché era finanziato con i soldi di Mediaset. Cosa non vera, se si vede Baarìa, ma per me davvero dolorosissima e inaccettabile”.
E ora? “Resta la curiosità - scrive Moccagatta - sul futuro (...) dopo quasi due anni di pandemia e di sale quasi sempre chiuse, o aperte a singhiozzo, tra mille difficoltà e diffidenze. (...) È il momento per Medusa di risorgere un’altra volta. Come quella Fenice, nascosta dietro i riccioli della Gorgone da più di venticinque anni”. Buona la prima, e lunga vita.