Nostalgia canaglia. La tentazione di ricreare la propria età dell’oro, di riafferrare il sentimento dei “migliori anni della nostra vita” per rappresentarli come un’Arcadia, un tempo ideale, senza macchie né passi falsi, è sempre dietro l’angolo, per tutti. Figuriamoci per chi pratica una forma d’arte. O di “alto artigianato”, come Sydney Sibilia, classe 1981, definisce appropriatamente il cinema. Di questo sentimento forte del passato si tiene di certo conto alla giovanissima (2014) Groenlandia, società fondata con il quasi coetaneo Matteo Rovere a cui si è aggiunto Andrea Paris di Ascent. Un unicum che ha occupato, grosso modo, lo spazio intermedio tra i due poli del cinema ultrapopolare e quello autoriale.

Per fare intrattenimento, in modo dichiarato e legittimo, senza rinunciare a qualità e compattezza di scrittura e fattura. Ma con un’attenzione speciale alla targettizzazione del pubblico, ai dati delle piattaforme. I franchise, come si sa, da noi latitano. A saperlo fare, si dovrebbe crearne di nuovi: emblematica è stata la trilogia di riscatto nerd Smetto quando voglio, una felice eccezione. Altrimenti si attinge all’enorme serbatoio di storie e biografie nazionali, prendendone ciò che è più appetibile, depurandole dagli aspetti più complessi e problematici. E allora la pagina anarchica a cui si ispira L’incredibile storia dell’isola delle rose si stempera in una grande festa balneare che celebra l’originalità del singolo o self made man (Elio Germano) e Mixed By Erry addolcisce in allegra chiave spettacolare i danni della pirateria musicale, tra istituzioni e polizia che restano simpatiche macchiette.

gli anni d’oro degli 883

In continuità con il racconto di inatteso successo commerciale dei napoletani fratelli Frattasio sembra anche il primo progetto seriale (coprodotto da Sky Studios e Groenlandia), di cui Sibilia è showrunner: Hanno ucciso l’uomo ragno - La vera storia degli 883. In arrivo ad ottobre, due stagioni, otto puntate in totale, ispirate ai testi dei primi due album di Max Pezzali e Mauro Repetto: Hanno ucciso l’Uomo Ragno e Nord Sud Ovest Est, usciti tra il ’92 e il ’93, l’apice del loro trionfo discografico. Naturalmente bisognerà tornarci dopo la visione, ma la scelta fa riflettere. Questo insistere sul passato recente con uno sguardo idealizzante, ammiccante, aproblematico, che lavora potentemente sul ricordo, il vagheggiamento dell’adolescenza (e, per Sibilia e Rovere, forse anche un certo grado di immedesimazione) ma raramente graffia o storicizza, mette in prospettiva.

Hanno ucciso l’uomo ragno - La vera storia degli 883
Hanno ucciso l’uomo ragno - La vera storia degli 883

Hanno ucciso l’uomo ragno - La vera storia degli 883

(Lucia Iuorio)

La sempre più ambiziosa macchina produttiva, soprattutto dopo il passaggio dallo status di indipendenti al gruppo Banijay, sembra avere come priorità rimettere in scena look e apparati scenici vintage (quali sono ormai gli anni Novanta) e riproporre in chiave nazionale la poetica tutta mutuata dal cinema statunitense degli amici sfigati ma vincenti. Molto è già nelle dichiarazioni entusiaste di Sibilia nel potersi muovere su un terreno noto a un pubblico grande. Un festoso, genuino revival che si autopromuova (quasi) da solo. L’exploit del duo di Pavia in questo senso è estremamente funzionale all’ideale formula “local is the new global” (Nils Hartmann, SKY Studios Italia).

Molto probabile che l’esportabilità di un soggetto come il trionfo inaspettato di due ragazzi come tanti prevarrà su ogni tentativo di guardare con mente critica alla tv (non solo la “factory" Cecchetto) di quegli anni preberlusconiani. Un critico acuto come Edmondo Berselli (in Canzoni. Storie dell’Italia leggera), che rintracciava nel fenomeno 883 “un’operazione sociologica”, per il loro uso della lingua dell’uomo comune, ne rilevava anche il fast thought un pensiero veloce, apolitico, privo di ideologie, che fa del bar e della strada gli unici luoghi da cui si impara qualcosa. Una generazione, quella di Pezzali e Repetto, lontana dalla meglio gioventù, che non conosce impegno, sta fuori dalla Storia. Una provincia meccanica, per lo più maschile, che da Fellini a Mordini ispira film e canzoni nostrane. In cui si aspetta il sabato sera per girare in tondo (Con un deca) o perdersi la festa (Rotta per casa di Dio), s’idealizza la donna finalmente disponibile (Sei un mito). Facendo cantare e saltare (quasi) tutti con un testo nonsense su un eroe dei fumetti.

Claudio Gioeè nel ruolo di Mike Bongiorno
Claudio Gioeè nel ruolo di Mike Bongiorno

Claudio Gioeè nel ruolo di Mike Bongiorno

rai dire mike

Nel 2024, al quasi esordiente Elia Nuzzolo di Rossosperanza tocca la sfida di interpretare non solo il vulcanico Max Pezzali (mentre Matteo Oscar Giuggioli sarà Repetto) ma anche, in un altro progetto che profuma di retromania (Simon Reynolds) gli anni della gioventù di Mike, alias Michele Nicholas Salvatore Bongiorno (che Claudio Gioè interpreterà da adulto), più volte annunciato e auspicato dalla famiglia. Nel centenario della nascita e nel settantesimo anniversario della tv pubblica, un omaggio quasi obbligato al conduttore televisivo nato a New York (ricostruita a Sofia, Bulgaria) e morto a Montecarlo, eppure emblema dell’ottimismo italiano postbellico, propagato a colpi di quiz e allegria.

La miniserie in due puntate, diretta dal Giuseppe Bonito di Figli e L’arminuta, coprodotta da Rai Fiction e Viola Film e scritta da Salvatore De Mola (Màkari, Imma Tataranni - Sostituto procuratore), andrà in onda su RAI1 in prima serata in autunno e sarà incentrata sul periodo “dall’infanzia al successo televisivo”, cioè gli anni meno noti dello showman a cui Umberto Eco dedicò una memorabile fenomenologia: il ritorno a Torino, città natale della madre, da bambino, dopo il crollo del ’29, il giovane uomo sportivo, staffetta partigiana, poi giornalista, l’inaugurazione dei programmi RAI con Arrivi e partenze.

Se in veste di elettrizzato supporter della discesa in campo del suo editore Bongiorno lo si è visto in repertori originali nella recente serie Netflix Il giovane Berlusconi, aspettiamo di capire in che modo Mike affronterà il periodo RAI e se sarà un santino da museo della comunicazione. Nel frattempo, aleggia la domanda sul perché di questo morboso attaccamento a figure pop. Simpatiche perché irresistibilmente vincenti e medie.