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Valerio Mastandrea in Nonostante - foto di Matteo Graia
“Siamo partiti dal voler raccontare una storia d’amore. Poi abbiamo capito di volerla inserire in un contesto originale. L’idea di metterci in questa condizione al limite si è fatta poi talmente estrema da trasformarsi in metafora”.
Valerio Mastandrea torna alla Mostra del Cinema di Venezia, per la prima volta da regista, con la sua opera seconda, Nonostante , film d’apertura – in concorso – della sezione Orizzonti.
“Sono contento di essere qui, intanto perché in questo modo lascio andare il film, anche se poi arriverà nelle sale tra sei mesi, ma sono contento – e non lo credevo – di essermi fidato di chi ha voluto fortemente che lo presentassimo alla Mostra, perché comincio a capire che il film diventa delle persone che lo vedono”, dice ancora il regista-attore romano, tornato dietro la macchina da presa sei anni dopo l’esordio con Ride.
“La predilezione per i titoli con parola singola nasce semplicemente dalla mia incompetenza. Ricordo che Claudio Caligari raccontava spesso che Ferreri lo considerava un grande titolista, ed era vero. Io non ho questo dono, e nel caso specifico l’ispirazione è arrivata da un poeta slavista, Angelo Maria Ripellino, che si definiva un “nonostante”. Un avverbio che si fa sostantivo, ma soprattutto ci siamo accorti che questa parola racchiudeva il senso dei personaggi che volevamo raccontare”.
Prodotto da Viola Prestieri e Valeria Golino per HT Film, Francesco Tatò e Oscar Glioti per Damocle (neonata casa di produzione di cui fanno parte anche Mastandrea e Michele Rech, in arte Zerocalcare), Moreno Zani e Malcom Pagani per Tenderstories con Rai Cinema, Nonostante sarà distribuito da Bim nel marzo del 2025.
L’uomo (Mastandrea) che vediamo aggirarsi nel cortile di un ospedale, che parla con altri ricoverati come lui (Lino Musella, Laura Morante e Justin Alexander Korovkin), ma che agli occhi di tutti gli altri è invisibile, in realtà è allettato in stato comatoso (come gli altri tre del resto) da chissà quanto e chissà perché. Quella preziosa routine scorre senza intoppi fino a quando una nuova persona (Dolores Fonzi) viene ricoverata nello stesso reparto. È una compagna irrequieta, arrabbiata, non accetta nulla di quella condizione soprattutto le regole non scritte. Non è disposta ad aspettare, vuole lasciare quel posto migliorando o addirittura peggiorando. Vuole vivere come si deve o morire, come capita a chi finisce lì dentro. Lui viene travolto da quel furore, prima cercando di difendersi e poi accogliendo qualcosa di incomprensibile.
“Questo film è dedicato alle persone che senza accorgersene vivono nell’immobilità, ma poi riescono a liberarsene e vedere oltre i propri limiti”, spiega ancora Mastandrea, anche autore di soggetto e sceneggiatura insieme al sodale Enrico Audenino: “Che cosa vuol dire essere vivi, essere morti? Abbiamo giocato molto su queste opposizioni, sulla possibilità che possano accadere delle cose anche all’interno di un mondo apparentemente immobile, e al tempo stesso ci siamo soffermati sul concetto di memoria – dice lo sceneggiatore – è come se tutto il film ti dicesse che esisti solo se vieni ricordato ma al tempo stesso quello che noi viviamo sfugge costantemente al ricordo”.
Per affrontare la tematica relativa allo stato d’incoscienza “ci siamo confrontati con un primario e con un dirigente sanitario dell’Ospedale Santa Lucia di Roma ma abbiamo capito che non potevamo addentrarci con il film nell’apparato clinico, tecnico, di una simile condizione: ci siamo concentrati piuttosto sulla vita e sulla morte come simboli, per noi i personaggi immobili in quei letti rappresentavano le persone immobili nella vita”, racconta il regista, che sulla questione della memoria, del ricordo, aggiunge: “Nel film c’è questa forte componente legata alla possibilità di dimenticare quello che si è vissuto in quella condizione nell’eventualità che poi ci si risvegli. Anche qui il senso è quello di provare a ricordare come mettere a frutto la propria esperienza, il paradosso continuo tra lo stare bene e lo stare male. Stare meglio può voler dire perdersi per sempre?”.
Per quanto riguarda il lavoro con gli attori, Mastandrea dice che dopo la lavorazione del primo film ha imparato “a rispettare gli attori, io avevo delle idee e loro me le hanno capovolte totalmente, restituendomi dei personaggi capaci di andare oltre quello che avevamo scritto”.
Laura Morante riconosce al regista “una visione estremamente dettagliata dei personaggi, mi diceva di sistemare meglio gli occhiali, il vestito, la spilla, oppure di rifare le battute con altre tonalità, le sue indicazioni erano continue”, mentre per Lino Musella, alla seconda esperienza con lui dopo Ride, sottolinea come Mastandrea “non lavora con semplici trovate ma racconta storie che nascono da sentimenti autentici, è in grado di far leva sull’anima dei personaggi”.
Nel cast del film anche Barbara Ronchi, in un paio di pose, e Giorgio Montanini, in un ruolo decisivo, a metà strada tra il mondo degli addormentati e quello dei svegli: “Ho percepito una sensazione viscerale da parte di Valerio, è stato bellissimo lavorare con lui”. Anche se all’inizio pensava che quella chiamata fosse una presa in giro: “Mi ha telefonato per propormi la parte dopo che ero stato un mese e mezzo in coma a causa di una polmonite. Gli ho detto ‘ma che mi prendi per il culo?’ e invece lui non lo aveva neanche saputo. Però gli ho detto subito ‘guarda che io in quel mese e mezzo non ho visto né sentito nulla eh’”.
Tornando alla cifra di Nonostante, non può non tornare alla mente La linea verticale, miniserie interpretata da Mastandrea per la regia del compianto Mattia Torre: “Un set e un’ambientazione determinano un filone, l’uso dell’ironia di Mattia è diverso dal mio, io sono più sentimentale, patetico. Anche questo però è sì un film molto intimo, anche io penso di essere un nonostante. Lo sono. E come me anche tante persone che possono essere attraversate da un sentimento enorme: l’amore a uno di questi personaggi salva la vita, a un altro no. In entrambi i casi però non si è rimasti fermi ad aspettare le cose, per questo dedico il film a chi di fronte a una cosa così forte decide di attraversare anziché rimanere bloccato”.
E infine un pensiero sul senso di continuare a fare questo mestiere. “Un film non è mai solo un film, abbiamo una responsabilità facendo questo lavoro. E quindi abbiamo questa spada, quella di Damocle, che ci segue ovunque. Come suggerisce il nome della nostra nuova casa di produzione, quindi, raccontare delle storie significa avere una responsabilità enorme. E il nome vuol dire non dimenticare questo senso di responsabilità. Intrattenere vuol dire anche far pensare le persone. Nasciamo nel momento peggiore in cui può nascere una casa di produzione, ma in cantiere abbiamo delle opere prime e vogliamo rimettere in piedi un copione di Claudio Caligari (Andare ai resti, ndr) , stiamo lavorando su questo”.