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"Quando ho letto la sceneggiatura sono rimasta sorpresa dalla profondità, dalle sottigliezze con cui era scritta. Mi scaturivano nella mente mille domande: c’erano due personaggi femminili estremamente ricchi e interessanti. Domande sulla recitazione, sull’identità, sul senso dell’arte: se possa essere immorale o no”.
Dopo l'anteprima a Cannes 2023, Natalie Portman presenta in Italia May December, il nuovo film di Todd Haynes che uscirà da giovedì 21 marzo nelle nostre sale distribuito da Lucky Red.
L’interprete veste i panni di Elizabeth, un’attrice di successo che si trasferisce a casa di Gracie Atherton-Yoo: la donna che dovrà interpretare in un biopic. Gracie - cui presta volto e voce un altro premio Oscar come Julianne Moore – moglie e madre di tre figli, vive in una graziosa villa vista lago nel sud degli Stati Uniti. Quando aveva 36 anni, però, ha violentato e abusato del tredicenne Joe Yoo, poi sposato dopo aver lasciato il marito e il figlio. Un gesto che ha destato grande scalpore in America e che anche a distanza di anni spinge Elizabeth ad incontrarla e a scoprire i suoi segreti.
“Un personaggio che si tende ad assimilare a me perché entrambe siamo due attrici, – spiega Portman – in realtà mi è diversa. Io ho cercato di non giudicare, perché il rischio maggiore quando reciti è interferire con la storia che stai raccontando, con le persone che stai interpretando: è un rischio etico, può accadere anche a una giornalista. Elizabeth in questo caso non fa granché per non ferire Gracie”.
Per il regista Todd Haynes, invece, May December “non è solo la storia di un’attrice che prepara un film, ma un film su come noi raccontiamo storie e sopravviviamo ai momenti delicati della nostra vita. Gracie ha inventato delle storie per sopravvivere, per proteggere la sua famiglia. Ma è un atto estremamente umano, fatto per nascondere la verità”.
Il film, scritto dalla casting director Samy Burch, si è guadagnato una candidatura agli Oscar 2024 per la miglior sceneggiatura originale: “Ho apprezzato della scrittura di Burch il senso di instabilità morale. – spiega il cineasta losangelino – La sfida era complicata, ma non ci siamo preoccupati di come il pubblico avrebbe ricevuto l’ambiguità dei personaggi. Poi, con sorpresa, ho notato che gli spettatori e i critici erano molto disponibili e pronti a recepirla”.
Fuori dalla sala, però, il regista nutre aspirazioni di segno opposto per il suo Paese: “La vita politica in America vorrei fosse meno ambigua. Rimangono fragili tentativi di mantenere vestigia di autoritarismo, ma è fin troppo chiaro quali siano le divisioni di fondo e come questo mondo sia tenuto prigioniero dai soprusi del sistema americano”.
Tornando al film, a far scoccare la scintilla è stata Natalie Portman, anche co-produttrice del progetto. Letto il copione di Burch, l’ha proposto subito ad Haynes: “speravo di lavorare con lui da 25 anni, continuamente gli mandavo soggetti, idee, spunti da realizzare”. Fin quando è arrivata una storia “pregevole perché indirizzata a un pubblico molto colto, – spiega l’attrice - ma con riferimenti alla cultura popolare e alla facilità con cui tutti noi maturiamo pregiudizi e opinioni sugli altri. Mi aveva conquistato la capacità di immergere lo spettatore nel punto di vista dei personaggi e poi fargli cambiare continuamente opinione, mettendo in dubbio riflessioni e pensieri. Era una struttura estremamente semplice, ma che nascondeva una grande complessità interiore dei personaggi, non solo quello mio ma anche quello che interpreta Julianne Moore”.
Personaggi che, come spiega il regista di Carol, mostrano una certa “somiglianza con i soggetti femminili di altri miei film, soprattutto per il contrasto con l’ambiente sociale a cui vanno incontro. Eppure qui ci sono due donne che hanno volontà e potere sugli uomini, sulla famiglia. Inseguono desideri particolari, a volte anche disturbanti. Ma la figura più vulnerabile della storia è quella di Joe, un uomo fragile che Charles Melton ha reso con grande umanità ed empatia”.
La protagonista sembra condividere le stesse sensazioni sul film: “Di Haynes ammiro la capacità di essere a suo agio con l’ambiguità, – spiega Portman – di spostare sempre il personaggio con cui, da spettatore, ci si può identificare all’interno di questo paesaggio di emozioni che il film racconta. Parlo del modo in cui creiamo storie come questa perché qui non c’è una netta separazione tra Bene e Male. Ci sono tratti morali giusti e sbagliati in tutti i personaggi. Così come nel mondo di oggi è difficile capire dinamiche che non sono mai binarie, spesso ci sono situazioni di conflitto in cui entrambe le parti hanno ragione e torto”.
L’accenno velato al presente di guerra che funesta anche il suo paese di nascita, Israele, rende l’attrice “preoccupata soprattutto per le donne e le ragazze, per i loro diritti, per la loro sicurezza. I diritti sono parte integrante della possibilità che hanno di perseguire le opportunità della vita”. Poi la confessione inaspettata: “Riconosco di essere stata ispirata in questa visione da scrittrici italiane come Natalia Ginzburg ed Elena Ferrante”.
Diversamente, le prospettive che attendono il grande schermo non sembrano causarle angoscia: "Non mi preoccupa il fatto che il cinema perderà centralità come forma di intrattenimento popolare. Come altre forme d’arte, anche questa attraversa momenti di cambiamento. Penso all’opera, alla musica classica, a come da esperienze popolari nel tempo siano diventate più d’élite, più sofisticate. Non sono preoccupazioni commerciali, non so nemmeno se sia una tendenza positiva o negativa. Noto solamente che quando ho cominciato a fare cinema, – conclude l’attrice – un film drammatico raggiungeva un pubblico più ampio, adesso forse lo stesso tipo di opera attira un pubblico diverso, una classe d’età diversa. Ma le motivazioni che mi spingono a fare cinema sono sempre le stesse”.