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Luca Marinelli in M. Il figlio del secolo
In Italia il clima politico è teso come il saluto romano. La procura di Milano ha aperto un’inchiesta dopo la marcia del 29 aprile di millecinquecento manifestanti per commemorare la morte di un attivista fascista nel 1975, un’agghiacciante esibizione di braccia destra levate. Manifestazioni simili si sono svolte a Predappio il 27 aprile (anniversario dell’arresto di Mussolini) e a Roma lo scorso gennaio. Il 20 aprile il monologo dello scrittore Antonio Scurati è stato cancellato all’ultimo momento dalla televisione pubblica. Il testo, che commemorava la Liberazione dell’Italia dal fascismo e dal nazismo da parte dei partigiani il 25 aprile 1945, è stato ripreso dalla stampa, mentre i giornalisti Rai, denunciando “il soffocante controllo del lavoro giornalistico”, hanno proclamato uno sciopero a maggio. Non serve essere Freud per comprendere che il popolo italiano non ha mai regolato i conti col suo passato fascista.
Ignazio La Russa, Presidente del Senato, si vanta di avere i busti di Mussolini in casa mentre Paolo Truzzu, sfoggia sull’avambraccio il tatuaggio “Trux”, neologismo sincratico che fonde il suo nome con Dux… Nessuno sembra aver preso definitivamente congedo dalla propria giovinezza, “primavera di bellezza”, o anche solo considerato quel gesto igienico-democratico. Dopo la vittoria elettorale del settembre 2022, la squadra postfascista aveva due strade possibili davanti: rinnegare il proprio passato o tentare di riscrivere la storia. Ha scelto la seconda.
Eludendo l’argomento durante la campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, ha ostinatamente osservato la linea ideologica della sua originaria cultura neofascista. Ha preso le distanze dalle atrocità perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai negare l’esperienza fascista nel suo complesso, ha attribuito ai soli nazisti i massacri commessi con la complicità dei fascisti della Repubblica Sociale Italiana, ha ignorato il ruolo fondamentale della Resistenza italiana e non ha mai nominato la parola “antifascismo” nel corso delle commemorazioni del 25 aprile. Lo spettro del fascismo non smette di infestare la casa della democrazia italiana, eppure qualcosa nell’immaginario finalmente si muove, rischiando tutto su un terreno poco battuto da cinema e televisione.
fuochi d’artificio per susanna nicchiarelli
Due serie si preparano a destare l’Italia scegliendo inediti angoli d’attacco. Il romanzo di formazione di Andrea Bouchard e il (grande) romanzo storico di Antonio Scurati sono alla base di Fuochi d’artificio di Susanna Nicchiarelli e di M. Il figlio del secolo di Joe Wright. Racconti omonimi e antifascisti che assumono una dimensione pedagogica per le nuove generazioni esposte a ogni forma di revisionismo. Avventuroso il primo, monumentale il secondo, sono una brillante illustrazione del potere della letteratura, capace di articolare il tempo storico e il tempo umano. Due contributi importanti per la ricostruzione dell’antifascismo e per comprendere i meccanismi collettivi che portano un popolo a scegliere la strada del populismo e dell’autoritarismo. Dietro le pose, la retorica altisonante e la messa in scena di se stessi come star del cinema, la vera dimensione di Mussolini era il vuoto, nessun principio, strategia, ideologia, gli bastava respirare l’aria, le frustrazioni, la paura, la crisi del tempo.
Contro la supremazia tattica del vuoto, Susanna Nicchiarelli e Marianna Cappi, co-sceneggiatrice, schierano quattro partigiani adolescenti più forti del crimine contro l’umanità che sta prendendo forma intorno a loro. Orchestrando come un crescendo il confronto tra lo slancio della vita e la condanna a morte programmata dall’ideologia nazifascista, Bouchard restituisce a quei tempi bui una verità avvincente e struggente. Si concentra sui giovani di ieri e li celebra, parlando ai ragazzi di oggi del coraggio di essere se stessi, della forza dell’impegno ma anche delle minacce da cui bisogna guardarsi.
Se Fuochi d’artificio resta nel contesto partigiano della “guerra civile” (1943-45), tela di fondo di film italiani maggiori (Roma città aperta, Paisà…), M. Il figlio del secolo è ambientato negli anni del fascismo “monarchico”, che non ha evidentemente suscitato lo stesso interesse. Dal 1945, il cinema italiano si è generalmente concentrato sulla Resistenza piuttosto che sul fascismo trionfante. Secondo la filmografia compilata da Jean A. Gili nel 1970, tra il 1945 e il 1970 furono girati ottanta film sul fascismo e sulla guerra e almeno quarantacinque trattavano l’esperienza della Resistenza. Soltanto uno, Il processo di Verona di Carlo Lizzani, spostava il punto di vista e si sbilanciava dalla parte del potere, registrando i conflitti interni alla gerarchia fascista. Con questa unica eccezione, la storia del regime e la biografia del dittatore sono state a lungo affidate al genere documentario.
anatomia di mussolini, da scurati a wright
La biografia di Mussolini ha raramente ispirato i registi, che a immagine degli italiani hanno preferito evitare il soggetto, per definizione delicato e aperto al sospetto di apologia. Marco Bellocchio è il primo ad avventurarsi in un campo praticamente inesplorato, gettando uno sguardo senza compromessi sulla storia italiana. Attraverso la rappresentazione di un episodio della vita privata di Mussolini, episodio a lungo ignorato della sua biografia, l’ascesa del fascismo e l’instaurazione del regime vengono affrontati senza sconti. Scelta originale per il cinema italiano che si interroga finalmente sul fenomeno fascista e sul funzionamento della società italiana. Vincere, col suo lirismo furioso, riunisce tutti gli ingredienti del melodramma, compreso il senso primario e italiano del termine, ci sono Verdi e Puccini in questa storia di passioni contrastate e di morti tragiche, di oppressione e di ragioni di stato, di figli naturali e di amanti addolorate. Uno sguardo intransigente sul passato che mette il Paese di fronte ai suoi conflitti, alle sue contraddizioni e ai suoi errori storici.
A dispetto del suo titolo, Vincere è la storia di una sconfitta come quella di Joe Wright, ispirata dalle pagine di Scurati e articolata in un ritratto romanzesco di portata inedita. M. Il figlio del secolo copre il periodo 1919-1924 e coglie l’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, frustrata da una vittoria costata più di un milione di morti tra civili e militari e dilaniata da scontri al limite della guerra civile tra militanti rivoluzionari e un manipolo di fascisti intenzionati a marciare su Roma.
La serie Sky - che arriverà il prossimo inverno - ha ambizioni che vanno oltre la cronaca. La sfida è immensa e incarnata da Luca Marinelli che guarda in macchina come in una ballata di De André, perché “per quanto voi vi sentiate assolti, siete per sempre coinvolti”. Non si scappa dal romanzo storico di Scurati e dallo sguardo nero di M-arinelli, a cui hanno cancellato via tutto l’azzurro. M-ussolini ci guarda e ci riguarda, è una chiamata di correo contro il nostro continuare a essere complici, eleggendo politici che cercano regolarmente di riabilitare i fascisti o di rimettere in discussioni le azioni della Resistenza. Il ritratto di Scurati non è affatto un monumento alla sua gloria, al contrario, offre una sistematica demitizzazione, annunciata fin dal titolo che riduce il tiranno a un’iniziale. La distruzione della leggenda mussoliniana è tanto più necessaria perché rispetto a Hitler, Mussolini gode di una relativa indulgenza.
Al di là delle agiografie, sovente deliranti dell’epoca fascista, dopo il 1945 è stato considerato come un figlio canaglia del Risorgimento (nei suoi discorsi Mussolini stabiliva una continuità tra le Camicie Rosse di Garibaldi e le Camicie Nere), un baluardo contro l’assalto del bolscevismo, un intellettuale austero e modernista con la passione per il futurismo e Pirandello, trascinato involontariamente in guerra, un allievo del filosofo socialista francese Georges Sorel, un teorico dello sciopero generale e dell’azione diretta e bla bla bla. Non resta che augurarci che la serie di Wright ci mostri come una tragedia quello che l’attualità italiana ci ha abituato a guardare come una farsa.