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Sembrava una boutade, una provocazione a beneficio dei titolisti destinata a morire lì, nello spazio di un’intervista. Invece la “proposta” lanciata da Pupi Avati dalle colonne del Corriere della Sera (6 febbraio) ha smosso le acque già agitate del cinema italiano – solo una settimana fa registi, attori e addetti ai lavori firmavano un appello per salvare alcune sale storiche della Capitale dalla trasformazione in centri commerciali - incassando la solidarietà di colleghi del calibro di Tornatore, Andò, Giordana e Luchetti. Al giornale di Via Solferino, intervistato da Tommaso Labate, Pupi Avati aveva detto: “Detto col massimo rispetto della presidente Giorgia Meloni e del ministro Alessandro Giuli, c'è bisogno di togliere delle competenze dal ministero della Cultura e creare un ministero ad hoc per il cinema, gli audiovisivi e la cultura digitale». E all’obiezione che esiste già una Direzione Generale Cinema presso il ministero della Cultura, aveva precisato: “Non può esistere un ministero che contemporaneamente si occupi di Uffizi e di Netflix perché sono cose troppo diverse. Meritiamo un ministero! Se lo si è fatto separando la scuola dall'università, mi sembra sia giunta l'ora di separare la produzione di un film o di una serie dalle celebrazioni dei duemilacinquecento anni di Napoli. Ne ho parlato con molti autorevoli colleghi trovando in loro quell'incoraggiamento che mi occorreva per lanciare questo appello”.
Tra questi Giuseppe Tornatore, che al Fattoquotidiano.it del 7 febbraio, si dichiara d’accordo con il regista bolognese: “Ha ragione Pupi Avati: ci vuole un ministero del Cinema ad hoc. Pupi è stato molto generoso e coraggioso a esporsi pubblicamente per questa idea”. Gli fa eco un altro illustre cineasta siciliano, Roberto Andò, che ad Aldo Cazzullo sul Corsera (7 febbraio) si dice «d'accordo. Dobbiamo restituire al cinema la centralità nella scena artistica che ha sempre avuto”.
Si dichiara “colpito” definendola “un’idea bella, coraggiosa e propositiva, tutto il contrario delle geremiadi col cappello in mano” Marco Tullio Giordana, scrivendo direttamente al Corsera. E ai potenziali scettici, Giordana ricorda che “lo sviluppo di un settore importante, anche per le ricadute sull’occupazione e la promozione della nostra cultura, val bene l’istituzione di una struttura dedicata e lo sforzo di tutti perché si torni a realizzare film senza dilapidare ma nemmeno svendere o chiudere anche questa attività”.
La pensa così anche Daniele Luchetti, che sul Foglio di oggi, riprende la suggestione del Cnc francese: "Un ente del genere potrebbe anche sciogliere in tempi più rapidi le pratiche amministrative, la fitta burocrazia, i pagamenti, tutte cose che pesano molto su un settore che dovrebbe essere dinamico". Ma per Luchetti il tema è anche strategico: "Il cinema c'entra davvero poco con i Beni culturali. Esiste il 'classico': è il patrimonio del passato che deve essere conservato, ma c'è il cinema del presente e del futuro che deve essere pensato e progettato armoniosamente in termini artistici e industriali”.
Proprio perché il tema investe aspetti di panificazione industriale, anche produttori e distributori hanno voluto dire la loro. Sempre sul Corsera Vania Traxler Protti, fondatrice di Academy Two, aderisce alla proposta di Avati suggerendo che fra “gli esperti di questo ministero ci sia, insieme agli altri, anche un urbanista che comprenda la necessità di far vivere le sale nelle città e nei quartieri che ne sono sprovvisti o le hanno viste chiudere una dopo l’altra”. Invece per il produttore Gianluca Curti (Minerva Pictures) bisognerebbe dotare l’attuale Mic di maggiori risorse professionali: “l’idea di di un ministero ad hoc – scrive al Corriere il Curti, anche presidente di Cna cinema e audiovisivo - potrebbe essere giusta, ma dato che non abbiamo molto tempo per agire, credo che la soluzione migliore sarebbe dotare la direzione generale cinema del Mic (ministero della Cultura) di dirigenti, funzionari e impiegati in numero coerente con la potente crescita che il comparto ha avuto negli ultimi cinque anni”.