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Melk © Emo Weemhoff/Lemming Film
Melk di Stefanie Kolk è in Concorso al XXVII Tertio Millennio Film Fest (14-18 novembre – Cinema Nuovo Olimpia – Via in Lucina, 16, Roma). Il film sarà proiettato giovedì 16 novembre alle ore 18:00. Per partecipare clicca qui.
Perdere un figlio, è risaputo, è la più grande tragedia che possa toccare un essere umano. Se poi il figlio è ancora un bambino questa tragedia devasta il cuore dei genitori, e se poi ancora ciò avviene al parto lascia un vuoto difficile da colmare. È quanto accade a Robin e al suo compagno Jonas, chiamati a elaborare il lutto di un bambino nato morto. A segnare tale esperienza, quasi a prolungarne il dolore di una perdita, si aggiunge l’inevitabile produzione del latte materno che Robin è chiamata a espellere dal proprio corpo e a dover buttare via. La donna decide così di donare il suo latte a quelle madri e quei bambini che ne hanno bisogno. Ma il percorso di donazione, esattamente come quello dell’elaborazione di un lutto lacerante, si rivela più complicato del previsto.
Presentato alla scorsa Mostra del cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori, Melk è il primo lungometraggio diretto e sceneggiato dall’olandese Stefanie Kolk, la quale, mentre allattava la figlia, ne ha elaborato il soggetto, traendo ispirazione all'esperienza della sorella e a quelle di genitori con i quali aveva parlato, che avevano scelto di donare il loro latte dopo aver perso un bambino.
“Pensando al legame senza parole tra una madre e il suo bambino non nato – scrive la Kolk – il film si è trasformato, ampliandone il senso, in un mezzo di comunicazione senza parole. E questo per me è un aspetto molto importante che riguarda il modo in cui ci relazioniamo e ci comprendiamo l'un l'altro, è un tema ricorrente in tutto il mio cinema”, cinema composto da tre cortometraggi pluripremiati quali Clan (2016), Harbour (2019) e Eyes on the Road (2019).
La regia della Kolk con assoluta discrezione e rispetto, entra nell’intimità sia di Robin, interpretata da Frieda Barnhard, il cui volto e la cui corporeità sono spesso messe in primo piano, che della coppia, con la felice intuizione di dare spazio anche alla figura del compagno, spesso relegato ai margini in opere con un soggetto simile. Emerge tutto lo smarrimento e il frastuono che i diversi incontri compiuti in quello che sembra un calvario senza troppe vie di uscita, contribuiscono a far sentire Robin estranea e sola a ciò che la accade intorno, la quale proprio nel silenzio troverà finalmente una possibilità, grazie a un singolare gruppo di “trekking silenzioso”.
È il silenzio necessario all’elaborazione di un lutto che, da ultimo, nell’aiuto verso il prossimo, pur quanto sia reso complesso dalla burocrazia medica, cerca una soluzione. Un’opera ambiziosa nel tema e a tratti distaccata e poco empatica. Tuttavia è preferibile rispetto a una facile, facilissima retorica che, probabilmente, avrebbe smosso di più il cuore dello spettatore. La Kolk, invece, punta alla mente.