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Maurizio Costanzo (Webphoto)
Maurizio Costanzo ha rivoluzionato la televisione italiana. Ha lanciato un genere che non esisteva (il talk show con Bontà loro nel 1976), dato slancio alla principale emittente commerciale con una trasmissione entrata nell’immaginario (il Maurizio Costanzo Show, dal 1982 al 2009 e poi dal 2015), raccontato la mafia alle platee popolari (le ospitate di Giovanni Falcone e l’alleanza con Samarcanda di Michele Santoro: il 14 maggio 1993 per poco non morì in un attentato), esplorato qualsiasi mondo (il varietà in primis).
Giornalista amato e detestato, innovatore e, perché no, genio del mezzo, Costanzo è morto oggi all’età di 84 anni. Lascia un’eredità ricchissima, epigoni spesso non all’altezza e un patrimonio televisivo che ha pochi eguali (interviste, speciali, scoop). Ma Costanzo, infaticabile e onnivoro, è stato anche scrittore, autore radiofonico, commediografo, paroliere (il capolavoro Se telefonando, con le musiche di Ennio Morricone e l’interpretazione di Mina) e uomo di cinema. Non solo come “divulgatore” e amico (Federico Fellini, Alberto Sordi, Vittorio Gassman su tutti), ma anche sceneggiatore, attore di sit com e, in un’occasione, regista.
Nel 1977, Costanzo ha diretto un film abbastanza bizzarro, Melodrammore – E vissero felici e contenti, una stravaganza che trabocca di amore per il cinema. Siamo negli anni della rivalutazione delle storie strappalacrime di Raffaello Matarazzo e Costanzo scrive (con il protagonista Enrico Montesano e Claudio Masenza, su soggetto di quest’ultimo con Giorgio Basile e Enrico Lucherini) una commedia metacinematografica in cui un attore, dovendo interpretare un revival di quei film, chiede consigli alla star del genere, Amedeo Nazzari. Non un gran film, ma un curioso giochino intellettuale.
Costanzo, che tra il 1984 e il 1986, diventa star delle sit com di Canale 5, prima con Orazio e poi con Ovidio, ha frequentato il cinema soprattutto come sceneggiatore. Sono ben sette le collaborazioni con Pupi Avati, cinque per il grande schermo e due per il piccolo: affianca il regista nelle estrose divergenze Bordella e Tutti defunti… tranne i morti e soprattutto contribuisce all’invenzione del gotico padano con La casa delle finestre che ridono.
Ma forse il credito più rilevante, tra commedie poco memorabili (Culastrisce nobile veneziano di Flavio Mogherini, L’altra metà del cielo di Franco Rossi) e tardi mélo (Per sempre di Alessandro Di Robilant), è Una giornata particolare: c’è anche la sua firma, accanto a quella del regista Ettore Scola e di Ruggero Maccari, sul soggetto di quell’indimenticabile capolavoro.