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I tre giudici di Masterchef 12 (credits Webphoto)
Con il trionfo di Edoardo, il 26nne varesino dalla capigliatura e dai basettoni Sgt. Pepper, si è chiusa una delle migliori edizioni di Masterchef Italia degli ultimi anni.
Una vittoria incerta fino alla fine, perché a sfidarsi nel concitato epilogo non erano solo tre (buoni) aspiranti chef ma tre narrazioni fortissime, che hanno contribuito a scrivere quest’anno l’identità dello show: la necessità di trovare la propria strada anche a rischio di deludere le aspettative familiari nel percorso di Antionio Gargiulo, detto “Bubu”, il ragazzo che imparò a diventare se stesso; l’invito a non dimenticare le proprie radici, riportando nel proprio paese d’origine ciò che si è acquisito fuori, ovvero la storia di un’acculturazione felice dell’emigrata vietnamita Hue Dihn; e, infine, il loser caciarone amato da tutti, Edoardo Franco, che dopo una serie di peregrinazioni senza frutto in giro per l’Europa torna a casa e ribalta ogni pronostico.
Un trittico generazionale bilanciatissimo, tre racconti di vita esemplari, tre ottime personificazioni dell’esprit du temps, veicolati alla perfezione dai codici della cucina, plasticamente rappresentati dalle tre proposte di menù con cui i concorrenti si sono sfidati nel gran finale, ognuno rappresentativo del mondo e della narrazione del proprio autore.
Vince, ed è giusto così, l’imperfezione, il percorso meno scontato e pronosticabile, l’andamento più ondivago, il gesto impreciso, la strategia non lineare. Vince Edoardo sbagliando il dessert, presentando un dolce per un altro, qualcosa che alla fine somigliava a una sbobba bianca su un latte grumoso, l’esito involontario di un tentativo fallito. Un dolce non riuscito ma “buonissimo”, nella sintesi condivisa dai tra giudici, anche questa una sorta di (involontaria?) allegoria del senso dello show.
Prima del sorprendente esito c’era stato però un altro colpo di scena, sempre ad opera del genuino Edoardo, uno di quei momenti non scritti capaci di colpo di squarciare il velo dello show e rivelare qualcosa di più profondo e autentico: il pianto. Di fronte alla prova schiacciante del proprio fallimento – quel dolce amarissimo presentato obtorto collo ai giudici – Edoardo è crollato, prorompendo in un pianto senza maschere, una disperazione singhiozzata, implacabile, infine catartica. Lì il personaggio si è rotto facendo entrare nella propria umanissima commiserazione ogni spettatore, persino ogni giudice. C’è stato in quel pianto terribile, scomposto, a tratti indecente, un momento di connessione collettiva straordinaria, dentro e fuori lo studio. Come se nelle lacrime con cui Edoardo si scioglieva davanti ai nostri occhi si specchiasse l’infelicità gentile di una generazione, l’approdo alla fine di un trauma.
Abituati al discount delle emozioni di tanta tv generalista Masterchef 12 ci ha regalato infine il senso pieno della commozione, lo stupore dell’empatia, il desiderio di abbracciare le fragilità nostre a altrui non a giustificativo, per mettere le mani avanti, ma come conquista a posteriori dell’umano. È stato bello “pizzicare” questo cedimento anche nel volto dei giudici: a dispetto di qualche critica “pilotata” a uso marketing (troppo severi, poco rispettosi, secondo qualche concorrente in vena di confessioni sui giornali) Antonino Cannavacciuolo, Giorgio Locatelli e persino il temibile Bruno Barbieri sono apparsi a tratti emozionati, addirittura provati da questa esplosione di sincerità.
Per una volta persino più importante di quella di sapori.