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Ritratto di un amore - ©FilmsduKiosque_MementoDistribution
Chi era il pittore francese Pierre Bonnard? Il regista Martin Provost ce lo racconta, o meglio ci racconta la sua lunga storia d’amore con Marthe de Méligny.
È Ritratto di un amore, già presentato nella sezione Première a Cannes 2023, ora film d’apertura della XIV edizione del Festival Rendez-vous a Roma e dal 16 maggio al cinema con I Wonder Pictures, in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
Lui, ovvero Pierre Bonnard (Vincent Macaigne), è il famoso pittore post-impressionista di fine Ottocento del giro di Degas, Monet e Renoir, lei, Marthe de Méligny (Cécile De France) è una modella disposta a posare per lui all’inizio e sua futura compagna ispiratrice poi. Compagna di molti anni vissuti in simbiosi (quasi in reclusione) l’uno accanto all’altro a la Roulotte, una casa sulle rive della Senna in Normandia. Luogo in cui Bonnard raggiunse la realizzazione personale come artista.
Martin Provost, cosa l’ha colpita di questa storia d’amore?
La durata del loro rapporto. Viviamo in una società di consumi. Consumiamo non solo gli oggetti, ma anche gli esseri umani. Ho riflettuto sulla coppia e su cosa significhi essere in coppia. Una prospettiva che spaventa molti di noi. Per esempio Picasso spremeva tutte le donne che aveva come limoni e poi le buttava via. Nonostante tante traversie e i tradimenti di lui, Pierre e Marthe avevano un rapporto diverso e questo si riflette nella loro bella opera. Bonnard ha avuto sempre un’estrema dolcezza nei confronti di Marthe e l’ha assistita fino alla morte. Lei doveva morire all’età di 30 anni e invece è riuscita a vivere fino a 75 anni.
Quale la documentazione per raccontare questa vicenda?
Ho letto tantissimi libri d’arte. Ho colto tante riflessioni, ho scritto e annotato tanto e sono andato oltre il contesto storico per concentrarmi su quel che è la vita quotidiana che si tesse contemporaneamente a quella artistica. La creazione artistica è molto più semplice di quel che si pensa.
Ritratto di un amore è anche un film che parla di emancipazione femminile, un tema molto affrontato nella sua filmografia.
È vero, ho un interesse spiccato per questo argomento e all’inizio non me ne rendevo neanche conto. In molti miei film parlo di questo a partire da Quello che so di lei nel 2017 a La brava moglie nel 2020, fino a quest’ultimo. Qui ho riflettuto sul concetto di musa, perché non è stato facile per le donne di quell’epoca essere tali. Misia, interpretata da Anouk Grinberg, è l’esempio di una musa perfetta, in più lei era molto ricca e generosa, purtroppo ha sprecato la sua vita. Marthe è stata una donna rivoluzionaria. Ha scelto di non sposarsi e non avere dei figli, ha accettato le amanti di Pierre pur di stare con lui. Si è messa in una situazione di incertezza totale. Si pensa addirittura che quando lo ha conosciuto lei si prostituisse e che lo abbia iniziato alle pratiche sessuali. La condizione delle donne in quell’epoca era terribile. Ma anche dopo non è stata così semplice. Penso a mia madre che si è sposata quando aveva diciannove anni, è arrivata prima a un concorso di arti decorative, dopo tre figli ha dovuto smettere di lavorare e parliamo del 1940. Lei ha sofferto tutta la sua vita, accudendo noi e servendo mio padre, e io ho respirato tutte le sue frustrazioni.
E ora la situazione per le donne è cambiata?
Il mondo è completamente cambiato. Certo, esistono ancora delle disparità salariali negli stipendi e nei compensi e una non equa suddivisione delle faccende domestiche. Bisogna trovare un equilibrio pacifico nei rapporti tra uomini e donne. Comprendo la rabbia delle donne. È necessaria, ma di passi avanti ne sono stati fatti tanti soprattutto in Occidente. Comunque Catherine Deneuve ha detto che io sono dal lato delle donne e lo sono sempre stato. In effetti è così.