“Un giorno mi chiama Claudio Mancini (storico produttore, morto lo scorso 28 giugno, ndr) e mi dice che c’è questo film che Sergio Donati aveva appena abbandonato. Era tutto pronto, c’erano già le scenografie di Dante Ferretti. Mi faccio mandare la sceneggiatura: la leggo, storia interessante”. Chi parla è Marco Bellocchio, il più grande regista italiano, e la storia era quella di Sbatti il mostro in prima pagina, il film generalmente considerato tra i meno personali della sua sessantennale carriera. A cinquantadue anni dall’uscita in sala (“Non fece molti soldi”), quel titolo un po’ nascosto torna a splendere nella versione restaurata, presentata al Lecco Film Fest e al cinema dal 4 luglio.

Protagonista del film, Gian Maria Volonté, nel ruolo del luciferino redattore capo di un quotidiano borghese e di destra, Il Giornale (due anni prima della fondazione della testata che tutti conosciamo…). Ricorda il maestro: “Parlo con Goffredo Fofi – eravamo in ottimi rapporti – e decidiamo di metterci mano. Al centro c’era il tema della manipolazione delle notizie, noi ci facemmo entrare altre cose, più personali, come il personaggio di Laura Betti, una grandissima amica. Gian Maria diceva sempre che faceva e non era un personaggio, mentre Laura era davvero affine a quella professoressa pazza e disperata per amore di un terrorista”.

Nelle immagini, il clima del tempo, tra la contestazione e gli anni di piombo, “Lo spirito era influenzato dall’ideologia di sinistra, qualcosa che oggi non credo si possa capire. Goffredo era molto più radicale di me, io ero moderatamente militante, stavo con i maoisti, ero contro il terrorismo e contro gli extraparlamentari. Oggi quell’ideologia si percepisce di meno, prevale l’umanità: non è che le parole e i concetti di allora siano insignificanti, ma appartengono all’archeologia. Non puoi parlare di odio di classe e di Democrazia cristiana a un ventenne, non capisce, la politica non ha più quel peso”.

All’uscita, tutti scontenti, dai produttori ai politici fino a Volontè: “In realtà lui non si è mai espresso esplicitamente, ma so che i dirigenti del Partito Comunista si arrabbiarono. Ma anche gli extraparlamentari”. E lo stesso Bellocchio ha sempre parlato con diffidenza di Sbatti il mostro in prima pagina: “Sì, dissi che non mi apparteneva. Tutte cazzate. L’ho rivisto: sono ovviamente diverso da allora, l’età mi ha reso più libero, e ho ritrovato delle parti che sono molto corrispondenti agli altri film che ho fatto. La sua specificità stava anche nel fatto di averlo girato a Milano, mentre le cose accadevano in diretta, dalla morte di Carlo Feltrinelli alle elezioni”.

Ormai di culto l’apparizione, all’inizio di film, durante un comizio della Maggioranza silenziosa (un comitato anticomunista), di un giovane Ignazio La Russa, attuale Presidente del Senato: “Ha scritto una lettera in merito. Non rinnega di essere stato missino ma precisa che gli scontri che nel film si vedono dopo il comizio avvennero in un altro giorno. Ora, lui non ha il dovere di capire che l’arte impone infedeltà e, intendiamoci, non è obbligato a conoscere il montaggio delle attrazioni di Ėjzenštejn. I film sono liberi. Gli ho risposto con una lettera gentile, però non me l’hanno pubblicata”.

Il 15 settembre tornerà sul set per la serie dedicata al caso di Enzo Tortora: “Mi hanno fatto notare che ci sono costanti: Aldo Moro in prigione, il bambino di Rapito… Il tema dello stare imprigionato come incubo kafkiano. Tortora, uno degli uomini più celebri d’Italia, uscirà dal carcere innocente ma distrutto, tant’è che muore due anni dopo la libertà”. Libertà, appunto, il tema del festival: “Ho capito che quando si diventa vecchi si continua a cambiare, ma si scopre il buonsenso. Io mi sono abbastanza difeso: devi capire fin dove puoi arrivare, mediare, accettare. E che, se superi un certo confine, rovini il tuo sogno. Idealmente i sogni non vanno rovinati: meglio rinunciare. A questo serve l’esperienza: proteggere un’idea e portarla avanti fino alla fine”.