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Marco Bellocchio - Foto Anna Camerlingo
Nel 2019 in gara con Il traditore, nel 2020 edizione annullata per COVID, nel 2021 Palma d’Onore e Marx può aspettare, nel 2022 la première di Esterno notte: Marco Bellocchio torna al Festival di Cannes – in concorso – con Rapito, film che tra un paio di giorni, il 25 maggio, sarà distribuito da 01 anche nelle sale italiane.
Essere l’unico o uno dei pochi registi al mondo a vantare questo primato lo scalfisce fino a un certo punto: “Non avevo mai vinto nulla al Festival di Cannes, poi ho ricevuto la Palma d’onore quindi se anche stavolta non dovessi entrare nel palmares non cambierebbe nulla per me”, dice Bellocchio. Che sul “mistero” di questa sua feconda e seconda giovinezza artistica prima risponde con una bella risata e poi ringrazia la moglie (la montatrice Francesca Calvelli, seduta di fronte a lui) e poi riflette: “Non siamo eterni, la vita finisce. Cerco di non correre in modo compulsivo, ci sono dei miei colleghi che fanno film ogni anno, io lavoro solo su cose che mi coinvolgono profondamente ed è chiaro che l’età porta con sé degli svantaggi ma regala anche un’esperienza che ti consente di vedere meglio le cose”.
Ambientato nel 1858, Rapito racconta la vera storia di Edgardo Mortara: nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa Pio IX irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un'educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall'opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa, Pio IX, non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.
"Persone della Chiesa hanno visto il film, alcuni sacerdoti. Erano molto emozionati e pensierosi. Lo hanno visto anche alcuni ebrei, che hanno espresso una commozione proprio evidente, e questo mi ha fatto piacere”, dice ancora il regista, che racconta anche di aver scritto a Papa Francesco: “Non mi ha ancora risposto, spero lo veda ma so che ha molte cose più importanti da fare. Però chissà, magari una serata tra amici…”.
Dopo Esterno notte, che tornava a raccontare la storia del caso Moro a due decadi di distanza da Buongiorno, notte, un altro film incentrato su un rapimento: “È un’elaborazione interessante che però si muove su piani diversi. Qui c’è un bambino che viene violentemente strappato dalla sua famiglia, lì si trattava di un grande statista: i due elementi sono accomunati da una cecità, lì era quella ideologica del brigatismo, convinto che la società sarebbe diventata comunista, guidata da un partito rivoluzionario della classe operaia. Qui dalla parte del Papa c’è l’idea che non è possibile cedere il bambino. Un altro titolo del film (in origine era La conversione) che poi abbiamo abbandonato perché poco commerciale era Non possumus, in un certo senso sulla scia di quel ‘cristiano per sempre’ come dice l’inquisitore. Essere ciechi, dunque, è la cosa che accomuna i due rapimenti”.
Dogmatismi appartenenti a scenari ed epoche differenti: “Nulla era in discussione, c’erano i peccati veniali, quelli mortali, poi il sacrilegio, ricordo nel 1948 i comunisti erano scomunicati. Per noi bambini era una cosa spaventosa, questo apparato che adesso sì probabilmente Papa Francesco mette in discussione, anche sugli omosessuali, sui divorziati, cerca di aprirsi maggiormente al mondo. Devono aprire perché sennò non hanno futuro. Questa cecità è qualcosa a cui io sono stato educato dalla Chiesa Cattolica”, spiega ancora Bellocchio, e sul tema approfondisce anche Fabrizio Gifuni, Aldo Moro in Esterno notte, qui nei panni dell’inquisitore Padre Pier Gaetano Feletti: “C’era la fede, non solo la buona fede. L’obbedienza alle norme del diritto canonico rende questo racconto ancora più oggettivamente spietato: una norma che prevede che si può strappare un figlio dal seno della madre, dalla famiglia. È stato un lavoro di sottrazione, l’Inquisizione dell’800 è un’altra cosa rispetto a quella medievale, che aveva un grado di efferatezza criminale. Il mio personaggio era un funzionario che applicava delle norme, quelle che andavano applicate. Abbiamo cercato di lavorare su quell’assenza di luce in uno sguardo, che cosa succede intimamente ad una persona che deve applicare determinate regole. Che cosa fa? Pensa alla giustezza di quella norma o a quanto sia terribile questa azione? La grande contemporaneità del cinema di Bellocchio sta proprio nella totale libertà del gesto obiettivo e nella libertà lasciata agli spettatori di farsi una propria idea. E in un’epoca in cui ormai siamo abituati a dare giudizi su tutto, mettendo pollici su e in giù, credo sia qualcosa di molto importante”.
E Bellocchio assicura: “Non avevo nessun intento ideologico, politico o chissà cosa, poi certo sta a chi vedrà il film giudicare, reagire, farsi una propria idea. Non ho mai pensato di fare il film contro il Papa, la religione, la Chiesa, mi affascinava questa storia, la storia di un delitto, compiuto in nome di un principio assoluto”.
Già raccontata dal libro Il caso Mortara di Daniele Scalise (Mondadori), testo da cui si è partiti per tracciare lo script (firmato da Bellocchio con Susanna Nicchiarelli, con la collaborazione di Edoardo Albinati, Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro) e anche da Vittorio Messori in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX. Il memoriale inedito del protagonista del caso Mortara (Mondadori): “Ho letto anche questo, a suo tempo, libro che era tutto in difesa di Pio IX, ma al tempo ci fermammo con la lavorazione perché sapevamo che Spielberg già stava facendo i sopralluoghi per lo stesso film. Poi più avanti venimmo a sapere che lui si era fermato, si dice perché non aveva trovato il bambino giusto, mentre io credo fosse per la difficoltà di fare un film del genere recitato in inglese”.
Bambino che invece Bellocchio ha individuato nel giovanissimo Enea Sala: “C’è stato un casting che si è concentrato in Emilia Romagna, abbiamo visto alcuni bambini ma di Enea mi ha colpito il suo sguardo, i suoi occhi. Dovevamo trovare un bambino zero, uno che non avesse mai recitato e che non recitasse neanche nel film”.
"È capitato così e lo accetto”, dice il bimbo, quasi citando il discorso del regista ai recenti David di Donatello, chissà quanto consapevolmente o meno.
La parte della giovinezza di Edgardo è invece affidata a Leonardo Maltese, rivelatosi recentemente nel Signore delle formiche di Gianni Amelio: “Edgardo è un personaggio enigmatico, profondo, tormentato proprio a causa di quello che dovette passare da piccolo. Ho cercato di lavorare su questa sofferenza, non potendo entrare nella sua testa, non potendo sapere realmente che cosa provasse. Ho cercato di prestarmi, ma non di dare risposte, o soluzioni”.
Il papà di Edgardo, il signor Momolo Mortara, è interpretato invece da Fausto Russo Alesi, anche lui reduce da Esterno notte (era Cossiga): “L’obiettivo è stato quello di riportare la questione umana di questa privazione, concentrarsi su questo. Il padre cerca di non soccombere, è reattivo nonostante il trauma. Cerca in tutti i modi di poterlo riavere, e per far questo si mette in discussione, mette in discussione i suoi principi per il bene del bambino. Lui forse è disposto a scendere a compromessi, cosa che ad esempio la moglie non ammette, e mi sembra un atteggiamento disperato e umano, che mi commuove molto”.
La moglie, Marianna, è invece Barbara Ronchi (di nuovo diretta da Bellocchio dopo Fai bei sogni, 2016): “È una donna che passia da una grande rabbia a una disperazione data dalla convinzione che questo bambino non tornerà mai più a casa. Il ricatto della conversione per tutta la famiglia così da poter riabbracciare il figlio aleggia in questa storia ma lei non accetterà mai, in nome di una dignità relativa alle sue radici, e alla sua fede”.
Altro reduce da Esterno notte è infine Paolo Pierobon, qui chiamato ad impersonare il delicatissimo ruolo di Pio IX: “Parliamo dell’ultimo Papa Re, con una reggenza lunga 31 anni e lo Stato Pontificio che si sta per sgretolare. Ho cercato di immaginare il quotidiano di questo personaggio, un uomo dalla fibra forte, visto che morì a 85 anni e in quel periodo non era una cosa abituale. Mi sono documentato sugli esercizi di preghiera che facevano, sulla sua epilessia, ma ho dovuto necessariamente apporre una sospensione del giudizio su un personaggio simile per cercare di restituirlo in maniera credibile”.
Tornando allo sviluppo del personaggio Montara, Bellocchio si sofferma sulla questione religiosa: “Fu vera conversione? Per gli ebrei assolutamente no. Ma lì c’è un mistero, il giovane Mortara questa conversione la pagò cercando per tutta la vita di convertire gli altri senza riuscire con nessuno. Per gli ebrei è stata un’estrema violenza: un bambino di meno di 7 anni, che in una situazione totalmente ignota, decide di sopravvivere e capisce che lo può fare solamente convertendosi: quindi se c’è stata la conversione, è stata forzata. Ma il mistero più grande è quello che arriva all’indomani della breccia di Porta Pia: una volta libero Edgardo decide comunque di restare fedele al Papa”.
E sulla scena forse più evocativa dell’intero film, quella in cui il piccolo Edgardo sogna di togliere i chiodi dai polsi e dai piedi di Gesù crocefisso, il regista dice: “Il bambino non è completamente domato, c’è ancora un senso di rivolta nel profondo del suo animo, quando la mamma lo piange e lui ritorna da lei e lo abbraccia, poi il rettore lo porta a dormire, cercando di placarlo, allora nel sogno, nella fantasticheria, cerca di conciliare, toglie i chiodi, come per provare a mettere d’accordo le due fazioni, come a voler pacificare i propri genitori con il Papa. Qualcuno mi ha fatto notare in questo una connessione con Marcellino pane e vino, film dove la fedeltà al cattolicesimo era più franchista, qui credo il rapporto sia più dialettico, di movimento, il tentativo di salvare gli uni e gli altri”.
Nessuna allusione invece ad ipotetiche violazioni di altro tipo: “Le vie dell’inconscio sono infinite, ma in quella scena del nascondino in cui il bambino si nasconde sotto il vestito del Papa, si richiama il nascondersi sotto la gonna della mamma, o sotto il lenzuolo. È un comportamento che gli analisti di varie scuole possono decifrare come vogliono. Poi Messori in modo sprezzante portava un’interpretazione di un giornalista americano che ovviamente alludeva ad un rapporto diverso tra i prelati e quei bambini. Ma non mi interessava, a me stava a cuore il discorso sulla mente di quel bambino, il farne un cattolico a tutti i costi”, conclude il regista.
Prodotto da IBC Movie, Kavac Film e Rai Cinema, Rapito sarà presentato come detto questa sera in concorso a Cannes e arriverà nelle sale italiane dal 25 maggio: “Con gli altri due produttori, Simone Gattoni e Beppe Caschetto, abbiamo deciso di devolvere l’incasso del primo giorno di programmazione all’Emilia Romagna, un piccolo aiuto per il dramma che sta vivendo la regione in seguito all’alluvione”, dice Paolo Del Brocco di Rai Cinema.