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Il mito di Poirot non tramonta mai. Il celebre investigatore nato dalla mente di Agatha Christie è adesso protagonista di Poirot a Styles Court, la serie audio disponibile su Audible. Le voci sono di Claudio Santamaria, Alessandra Mastronardi, Mara Maionchi e Alberto Malanchino, che è Arthur Hastings, “Una persona genuina, spontanea, positiva. Si sta lasciando la Grande Guerra alle spalle, deve confrontarsi con nuove ideologie. Il cambiamento è un sistema complesso”. Poi Malanchino prosegue: “È la prima volta che faccio una serie audio, è stata sicuramente un’esperienza particolare. Il lavoro dell’attore mantiene sempre lo stesso sentimento, a cambiare è la tecnica. Bisogna essere in ascolto per guardare a occhi chiusi”.
Quindi l’approccio resta lo stesso?
Esatto. La componente fisica in verità rimane, anche se le emozioni passano attraverso la voce. Non c’è una vera preparazione, ci si affida. A volte non si ha una conoscenza totale del proprio personaggio, perché così si mantiene lo stupore.
Si definirebbe un doppiatore? In Mufasa – Il re leone lei è Taka.
Mi piace prestare la voce. Il doppiaggio lo frequento da quando ho finito l’Accademia. Per fortuna e purtroppo mi sono dovuto fermare: sono arrivate le serie, il teatro. Ma mi sento comunque legato. È un bellissimo viaggio.
E Agatha Christie?
Mia nonna guardava tutti i film tratti dai suoi romanzi, a scuola ho fatto delle letture. Ho tanti ricordi legati alle elementari. Adesso sono più consapevole, ed è stata una riscoperta. Intanto continuo a lavorare sul palcoscenico. Con la mia compagnia teatrale, il Cubo Teatro di Torino, ci stiamo concentrando su Leo, un monologo su Leone Jacovacci, il primo campione italiano di colore sempre sul ring. Si scontrò con il fascismo. Arriverà nel 2026. Poi sto girando Il capo perfetto con Luca Zingaretti a Modena.
Qual è il punto di incontro tra le serie audio, i podcast e il cinema?
Sicuramente gli attori. Siamo una grande famiglia, che crea storie diverse. L’importante è dare vita a qualcosa che al pubblico possa interessare. Sul futuro sono positivo, anche se l’eccesso di tecnologia non è necessariamente qualcosa di buono. Alcuni spettatori si stanno allontanando per questo, specialmente dal teatro. Credo che serva un’armonia.
Così si arriva all’intelligenza artificiale, di cui si è parlato molto agli Oscar.
Come categoria sappiamo che può essere un pericolo. Una macchina non può restituire la vitalità di un processo empatico. Almeno al momento. Ognuno di noi è il frutto delle esperienze che lo hanno formato. Ed è qualcosa di unico, non replicabile. Serve un pensiero critico, non disfattista.