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L’unico, vero protagonista maschile nelle cinquine dei David di Donatello è un’icona del passato, quasi un’immagine disincarnata, un mito di ieri che innesca la nostalgia di oggi (e di domani): è Enrico Berlinguer, che La grande ambizione di Andrea Segre (15 candidature, il frontrunner insieme a Parthenope) omaggia attraverso l’evocazione mimetica di Elio Germano. Berlinguer è anche al centro di Prima della fine, in corsa unico tra i documentari candidati a essere diretto da un uomo, Samuele Rossi.

Dal film di Segre arriva Roberto Citran, in gara tra i non protagonisti, come Aldo Moro, il personaggio storico più citato dai David (i premiati Roberto Herlitzka per Buongiorno, notte e Fabrizio Gifuni per Esterno notte, i candidati Gian Maria Volonté per Il caso Moro e lo stesso Gifuni per Romanzo di una strage: il fantasma della Repubblica è più vivo che mai).

Berlinguer. La grande ambizione
Berlinguer. La grande ambizione

Berlinguer. La grande ambizione

(Vivo Film, Jolefilm, Tarantula, Agitprop)

Nella cinquina degli attori c’è lo stesso Gifuni, l’attore più autorevole nel dare consistenza al senso del tempo perduto, che rivisita Luigi Comencini alle prese con Il tempo che ci vuole. E Tommaso Ragno, anche lui una forza del passato (ma più divergente rispetto a Gifuni), che in Vermiglio offre il ritratto di un severo e potente intellettuale del mondo contadino. Difficile considerare il pur venerabile Silvio Orlando come protagonista di Parthenope (ma è inutile lamentarsene: il posizionamento nelle categorie dipende dalle scelte delle produzioni), ma anche lui, malinconico professore di antropologia e padre di una creatura fatta di “acqua e sale”, porta in dote qualcosa di misterioso e ancestrale, così svincolato dalla mediocrità del presente e del realismo.

Idem, tra i non protagonisti, il lascivo cardinale Peppe Lanzetta che seduce Parthenope, il coriaceo gabellotto di Guido Caprino sedotto dalla Modesta e dall’Arte della gioia, il paterno Pierfrancesco Favino del period Napoli-New York di Gabriele Salvatores: arrivano da mondi lontani, esprimono una maschilità antica e, senza interrogarci se siano personaggi positivi o negativi, dialogano con la contemporaneità in modo piuttosto relativo.

Perché ci interessano i David di Donatello? Perché le indicazioni degli elettori fotografano l’andamento ideologico di un sistema, lo stato di un’industria o presunta tale, le tendenze narrative del sistema audiovisivo di un Paese. E, insomma, di fronte alle candidature della settantesima edizione conviene chiedersi se il cinema italiano, questo cinema italiano, sa raccontare il presente e i suoi uomini.

Tommaso Ragno in Vermiglio
Tommaso Ragno in Vermiglio

Tommaso Ragno in Vermiglio

Pur essendo, nei fatti, la ricostruzione di una vicenda realmente accaduta nel 2008, Familia di Francesco Costabile (8 nomination) racconta la storia più vicina a noi. Ed è la storia di un parricida, interpretato dal ventiduenne Francesco Gheghi, l’attore più giovane tra quelli nominati (il padre è impersonato da Francesco Di Leva, che a 46 anni è il più giovane della sua cinquina). Difficile trovare qualcosa di più simbolico, peraltro in un cinema che ha ormai come nume tutelare colui che, esattamente sessant’anni fa, ha sconvolto tutti con un matricida (Marco Bellocchio e I pugni in tasca).

È vero, forse casuale, che a pagare dazio sono film a prevalenza maschile e per di più storici, dal garibaldino L’abbaglio (completamente ignorato) al bellico Campo di battaglia (nonostante il medico-martire di Alessandro Borghi e il parallelismo con la pandemia), ma, quasi a testimoniare un’idiosincrasia verso uomini fuori sincrono rispetto alle esigenze del presente, hanno avuto poca fortuna anche i personaggi più problematici di altri film della stagione, dal meschino narcisista patologico di Confidenza ai miserabili mafiosi di Iddu. Senza dimenticare figure più tormentate come il poliziotto devastato dalla vita (e della morte) di Dostoevskij o l’ex militare di ritorno a Napoli in Hey Joe: non a caso due padri che hanno sbagliato e devono “pagare” un conto. Niente a che fare con “la cura” del Tempo che ci vuole né con il parricidio di Familia, eppure così complessi, tribolati, terminali da meritare più attenzione di quella ricevuta.

Federico Cesari in Tutto chiede salvezza (credits: Andrea Miconi/Netflix)
Federico Cesari in Tutto chiede salvezza (credits: Andrea Miconi/Netflix)

Federico Cesari in Tutto chiede salvezza (credits: Andrea Miconi/Netflix)

Se nel reparto femminile assistiamo da tempo a un rinnovamento che si riflette nelle candidature dei David, tra i maschi la situazione è più stazionaria. E forse non è un caso se due delle Rising Star maschili di quest’anno provengono soprattutto dalla serialità: Federico Cesari, che tra Skam e Tutto chiede salvezza offre un nuovo modello di mascolinità (la fragilità come occasione, la gentilezza per vocazione), e Matteo Oscar Giuggioli, rivelato come Mauro Repetto in Hanno ucciso l’Uomo Ragno e già notato in altri ruoli non banali (Billy, Vostro onore, Volare).

Non è un caso perché è nella serialità che stiamo assistendo al racconto più completo attorno all’essere maschi (giovani) oggi: oltre a Skam e Tutto chiede salvezza, vanno citati Prisma, la linea adolescenziale di Un professore, perfino Mare fuori nelle sue derive positive. E infatti il bacino di un potenziale star system è lì: Lorenzo Zurzolo, Nicolas Maupas, Massimiliano Caiazzo, Damiano Gavino, Francesco Centorame, Mattia Carrano. Si parla di maschi che rifuggono gli stereotipi di genere, prendono di petto quei sentimenti un tempo preclusi ai codici della virilità, vivono un rapporto paritario con l’altro sesso, ripudiano il patriarcato come scelta ineluttabile per un uomo.

Questo mondo non mi renderà cattivo
Questo mondo non mi renderà cattivo

Questo mondo non mi renderà cattivo

Allargando il campo, è fondamentale la figura di Zerocalcare, che oltre a vendere milioni di copie con i suoi graphic novel che hanno aperto strade ad altri autori (anche qui il femminile prevale, da Fumettibrutti e Zuzu, ma citiamo pure il multitasking Fulvio Risuleo, Labadessa, Francesco Vicentini Orgnani, Maicol & Mirco) ha contribuito al filone seriale grazie a Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo. E, va da sé, è il cantautorato itpop che sta offrendo il vero affresco generazionale maschile (Calcutta, Pop X, Fulminacci, Giorgio Poi, Franco126, Tutti Fenomeni etc).

Ci sono alcuni esempi estemporanei, dal dittico Maschile singolare e Maschile plurale al recente L’amore, in teoria passando per il malincomico Troppo azzurro (altro titolo ignorato dai David), il selvaggio Patagonia fino a un altro grande assente alla tavola dei David: Enea ovvero Pietro Castellitto, un maschio urticante, fastidioso, respingente, eppure romantico e nichilistica nel suo essere epicentro di una (parte di una) generazione disperata, che teorizza l’incapacità anzi l’impossibilità di uccidere il padre, dunque quel parricidio anche simbolico (e non fattuale come in Familia) che può determinare un cambiamento.

Perché il cinema non dà spazio alla complessità dell’essere maschi oggi, alla faticosa emancipazione dagli schemi patriarcali, al desiderio di non essere come tutti?