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La sala professori © ifProductions / Judith Kaufmann
Una giovane insegnante chiede ad otto dei suoi alunni di seconda media di salire contemporaneamente su una piccola panca in palestra. La sfida è quella di rimanere in equilibrio tutti insieme su quel ripiano. All’inizio gli otto alunni sembrano non riuscire nell’impresa, poi, grazie all’intervento di un loro compagno, hanno successo. Qual è stata la chiave di volta? Il loro compagno ha suggerito che l’unica maniera per rimanere tutti insieme lì sopra in equilibrio è quella di tenersi per mano e intrecciarsi in un grande abbraccio.
In questa immagine è racchiuso il tema che attraversa La sala professori, film tedesco che concorrerà insieme al nostro Io capitano di Matteo Garrone per la categoria Miglior Film Straniero nella prossima serata degli Oscar. Il cuore di questa bella pellicola è, infatti, un’attenta riflessione sullo stato attuale dell’istituzione scolastica, nel complesso intreccio tra professori, alunni, insegnanti e una società contemporanea sempre più complessa. La scuola, nella metaforica immagine che abbiamo evocato, è la panca su cui devono salire non solo gli alunni, ma, anche, appunto, i docenti e i genitori e l’unica maniera perché si raggiunga il giusto equilibrio è che ognuno di queste polarità dia una mano all’altra. Senza contare gli scossoni che potrebbero arrivare anche dall’ambiente esterno che rendono il tutto sempre più instabile.
La sala professori è solo l’ultimo film, in ordine di tempo, che il grande schermo ha dedicato a quel luogo fondamentale per la vita di ognuno che è, appunto, la scuola. Un’istituzione essenziale per la tenuta democratica di ogni stato perché, insieme alla famiglia, è il nucleo vitale per la crescita personale e culturale dei cittadini, degli uomini e delle donne di domani. I film l’hanno raccontata attraverso i suoi protagonisti, modulando il punto di vista ora sugli alunni, ora sui professori, ora sui genitori. E adottando vari punti di vista, ora pessimisti ora ottimisti sullo stato dell’istruzione delle scuole nella contemporaneità. Cercando di definire che cosa significhi insegnare, come debba essere un “buon insegnante” e di contro un “buon alunno”, quali siano le responsabilità di chi lo fa di mestiere e di chi si trova tra i banchi.
Tante le pellicole che ci ha narrato storie di professori capaci di ispirare i propri alunni, maestri di vita e non solo di conoscenze. Come dimenticare il “Capitano, Mio Capitano” di Robin Williams, il professore che ognuno di noi avrebbe voluto avere, quello che ama la cultura ma anche e soprattutto i suoi alunni e cerca di tirare fuori da ognuno il meglio ne L’attimo fuggente, il classico per eccellenza dei film sul tema scuola. Robin Williams che tornerà a vestire i panni di un mentore illuminato anche in Will Hunting – Genio ribelle. O, pensando ad una versione femminile, possiamo ricordare la Julia Roberts di Mona Lisa Smile, professoressa di un istituto per sole ragazze nell’America razzista e segregazionista degli anni Cinquanta. Insegnerà alle sue alunne non soltanto la storia dell’arte ma soprattutto la libertà di pensare controcorrente. E i professori possono essere improvvisati e irriverenti come il Jack Black in School of Rock che con la sua travolgente energia dimostrerà che si può e si deve insegnare andando fuori dai canoni, portando un “sano” caos all’interno di un’istituzione che a volte è troppo sclerotizzata in vecchi rituali e stereotipi.
Tra gli insegnanti che sono un’ispirazione per i loro alunni ci viene in mente anche l’eroica tredicenne maestra elementare in una piccola scuola di una cittadina della Cina rurale e povera, che in Non uno di meno, Leone d’oro al Festival di Venezia del 1999, compie un viaggio difficile alla ricerca di uno dei suoi alunni. La famiglia lo ha mandato, solo e affamato, a lavorare in città e lei vuole salvarlo. Tutti questi film ci ricordano quanto sia fondamentale avere professori che, oltre ad amare le loro materie, sappiano amare i propri alunni perché la vera arte dell’insegnare è quella di chi è capace di mettersi nei panni di chi ha davanti e di modellare per ognuno dei propri studenti il proprio sapere. Rendendoli capaci di pensare in autonomia e di dare spazio alle proprie passioni.
E un professore che “salva” i suoi piccoli alunni è anche il Paolo Villaggio di Io speriamo che me la cavo, diretto da Lina Wertmuller e ambientato in provincia di Napoli tra degrado e criminalità, spaccato realistico delle disuguaglianze territoriali che ancora troppo spesso riguardano le nostre istituzioni scolastiche.
Naturalmente non sono mancate pellicole che ci hanno raccontato, invece, cattivi maestri. O perché esempi di una scuola vecchia nei metodi di insegnamento e rigida nelle sue regole, come avviene nel bellissimo Zero in condotta di Jean Vigo, dove gli adulti sono austeri e ottusi e i bambini protagonisti del film si ribellano e rivendicano la loro libertà e creatività. E ancora cattivi maestri sono anche quelli di Antoine Doinel che nei Quattrocento colpi preferisce come “insegnati” la letteratura e il cinema. Attraverso i romanzi e i film, infatti, il protagonista, alter ego del regista Truffaut, impara quello che c’è da sapere sulla vita, l’amore, le relazioni.
Ma per cattivi maestri possiamo anche intendere quelli che non si interessano dei loro alunni e pensano solo a fare il loro lavoro, compiendo il minimo sforzo. Sono i professori contro cui si scaglia Silvio Orlando ne La scuola di Daniele Luchetti ed è l’insegnate contro cui litiga Fabrizio Bentivoglio in Scialla di Francesco Bruni. Proprio in questa pellicola vengono, infondo, messi a confronto due tipologie di insegnanti: da una parte la Professoressa del giovane protagonista, che difronte ad un ragazzo brillante ma incostante non fa nulla per aiutarlo e ne decreta subito il fallimento; dall’altra parte, Bentivoglio, padre del ragazzo e professore in pensione perché sfiduciato dal sistema scolastico italiano, che, punto nel vivo del suo orgoglio di genitore, decide di aiutare il figlio a studiare e ritrova la passione che aveva perso. Una pellicola, dunque, che equipara la “professione” di padre e quella di insegnante, ricordando a chiunque faccia il lavoro del professore quante e quali siano le sue responsabilità.
Ci sono, poi, i maestri spinti da buoni propositi ma che finiscono per scatenare una serie di eventi inaspettati e inarrestabili. È quello che succede alla maestra de La sala dei professori, esempio di insegnante progressista che si batte per i suoi alunni ma finisce per compiere azioni che provocano un’escalation di reazioni deflagranti. Non aiutata, in questo, dalla complessità delle relazioni fra persone nelle nostre società contemporanee, dove dietro la policy del politically correct si nascondono sacche di razzismo, violenza, pregiudizi. Dove genitori, insegnati e alunni non collaborano e l’equilibrio sulla panca, come dicevamo all’inizio, sembra impossibile. D’altronde se i genitori sono come quelli della pellicola Educazione fisica, ogni tipo di equilibrio è impossibile. Il recente film italiano racconta, infatti, la storia dei genitori di tre alunni che vengono chiamati dalla preside della scuola perché i tre ragazzi si sono macchiati di un atto inqualificabile contro una loro compagna. Invece di ascoltare la voce della professoressa e ammettere le colpe dei figli e anche le loro, dunque, finiranno per compiere una violenza non preventivata. Se l’educazione fallisce, come dice l’insegnante di La sala professori, la colpa non è mai solo del professore ma anche della famiglia e della società. E forse sarebbe meglio non parlare di colpa e di fallimento, termini agonistici che le nostre società competitive ci impongono e che non aiutano il processo di crescita facendolo diventare un agone performativo, tra esaltazione e vergogna.
Un cattivo maestro suo malgrado lo troviamo anche in un altro film tedesco, L’onda, in cui un giovane professore di una scuola superiore per parlare ai suoi ragazzi del tema dell’autocrazia propone un esperimento: viene scelto un leader all’interno della classe e vengono imposte alcune regole di base. Suggerito dal docente solo per dimostrare ai suoi alunni che ogni democrazia è sempre in pericolo e che le masse possono facilmente essere manipolate e portate verso uno stato autocratico, il test inizia a scatenare una serie di atteggiamenti sempre più violenti e paranoici in un crescendo drammaticamente inaspettato. D’altronde ogni classe è una piccola società che mima, in miniatura, la società più ampia e che ne ripropone le dinamiche virtuose e distorte.
Esistono, però, anche percorsi inversi: da professori “carogna” a professori che aiutano a superare l’esame di maturità come nel grande successo di Fausto Brizzi Notte prima degli esami o all’odioso insegnante Paul Giamatti di The Holdovers che, piano piano, mostrerà la sua umanità dietro la maschera cinica della sua misantropia. E a questo punto si dovrebbero citare tutti film che il cinema americano ha dedicato al mondo dei college e delle università e di cui il John Hughes di Breakfast Club è stato uno dei migliori cantori.
Tutti questi film e i tanti altri ancora che si potrebbero citare ci mostrano come da sempre il cinema abbia voluto raccontare storie ambientate fra le quattro mura di una scuola, riconoscendo la centralità di questa istituzione nelle vite di ognuno di noi. Mettendo sotto la loro lente d’ingrandimento questa realtà, i registi ci hanno voluto ricordare e ci ricordano quanto sia essenziale il “mestiere” dell’insegnamento e che l’insegnamento non consiste nella semplice trasmissione di conoscenze e competenze ma è una vera e propria arte che implica passione, dedizione, cura, rispetto. E che coinvolge sempre tre polarità: alunni, insegnanti e genitori chiamati ad un patto reciproco di riconoscimento, ad un lavoro di equilibro raggiungibile solo prendendosi per mano ed abbracciandosi. Per poter lottare così contro i venti contrari di una contemporaneità dominata da complessità che sembrano irrisolvibili.