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Alla “Signora libertà”, quella cantata da Fabrizio De André in Se ti tagliassero a pezzetti, è dedicata la quinta edizione del Lecco Film Fest, la kermesse organizzata da Fondazione Ente dello Spettacolo e promossa da Confindustria Lecco e Sondrio. E che prende il via con un’ospite d’eccezione: Laura Delli Colli, presidente del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici, reduce dai Nastri d’Argento – il più antico dei premi italiani: i primi furono dati nel 1946 – appena consegnati a Roma e pronta a tornare a Taormina che per tanti anni ha ospitato la cerimonia (“Festeggeremo i settant’anni del festival e i quindici anni dei Nastri alla commedia: con noi ci saranno Carlo Verdone e Christian De Sica”).
Ad accoglierla, Marco Campanari, presidente di Confindustria Lecco e Sondrio, che celebra “un festival è in piena salute: dai tre giorni della prima edizione siamo arrivati ai sette di quest’anno, eravamo come una startup, oggi abbiamo una rilevanza nazionale, e possiamo guardare al futuro con solidità ed esperienza”. E mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, che sottolinea quanto quella con Confindustria sia un’alleanza tra “irregolari della cultura: dobbiamo fare tutti la nostra parte. Come ci insegna Robert Bresson in Un condannato a morte è fuggito (il film, presentato da Giacomo Poretti, che pre-aperto il festival nella serata di lunedì 1, ndr), se la libertà non è attratta da qualcosa non si muove, ha bisogno di un orizzonte. In un’epoca in cui tutti conoscono le risposte, noi vogliamo continuare a farci delle domande”.
E il tema della libertà, soprattutto alla luce del cinema, attraversa le riflessioni di Delli Colli, in dialogo con Angela D’Arrigo, curatrice del festival: “Sono nata in una famiglia di cinema, mio padre Franco era direttore della fotografia e così mio zio, il grande Tonino (qualche titolo per dare l’idea: C’era una volta in America, La vita è bella, Il vangelo secondo Matteo, Ginger e Fred, ndr). In casa si respirava la lezione di Pier Paolo Pasolini, la libertà era nell’aria. Ci sono delle foto in cui sono tutti in giacca e cravatta: sembrerebbe un mondo ingessato, invece era l’esatto contrario. Qualche tempo fa ho visto in sala Rocco e i suoi fratelli in versione restaurata: mi sono commossa quando ho visto il nome di mio padre tra gli operatori. Il cinema di quella stagione, ma penso anche a quello dei fratelli Taviani, è una vera testimonianza di libertà”.
E oggi? “Alice Rohrwacher è l’autrice più libera di tutti, imprendibile e fuori dagli schemi: siamo orgogliosi di averle dato il Nastro d’Argento come regista esordiente per Corpo celeste (a lei è dedicata la retrospettiva del festival, ndr). E, a parte il successo di Paola Cortellesi, voglio sottolineare come sia cresciuta la presenza femminile nei mestieri del cinema: ci sono sempre più donne operatrici, un tempo non era possibile anche per il peso delle cineprese, ora il digitale ha dato nuove opportunità”.
Ma non c’è cinema senza società: “Pensiamo a Giulia Cecchettin, vessata da trecento messaggi al giorno prima di essere uccisa. I femminicidi ci dicono che il vero problema è il possesso: dietro ogni morte c’è sempre la negazione della libertà”. Non solo: “Sergio Castellitto, presidente del Centro Sperimentale, ha promosso una serie di eventi: la ‘Diaspora degli artisti in guerra’. Voglio condividere le sue parole perché inquadrano bene la questione: ‘Offriamo uno schermo per mostrare le loro opere e un microfono per parlarne. Tra due fronti c’è sempre una terra di nessuno, un lembo deserto, abitato dalla paura ma anche dal desiderio. Vogliamo occupare questa terra, perché diventi luogo di meditazione umana, nello stesso campo aperto dove l’arte per sua abitudine, incontra il sogno’. Ho un profondo rispetto per chi sceglie la libertà di raccontare i conflitti, specie se penso al nostro giornalismo spesso caratterizzato da troppi compromessi”. Un’idea di libertà? “Il festival che da sedici anni facciamo a Lampedusa, opera di puro volontariato: portiamo il cinema in un’isola senza cinema, proprio di fronte al porto dove sbarcano i migranti. Ho imparato molto dalle persone che vivono lì, un senso di libertà che mi commuove”.