“Purtroppo le donne ancora devono fare tante lotte per affermare loro stesse”. Lo dice la giovanissima Fotinì Peluso (classe 1999) protagonista de La treccia, film di Laetitia Colombani tratto dal suo omonimo romanzo, che racconta le storie di tre donne distanti, ma accomunate dallo stesso coraggio.

Dal 20 giugno le vedremo al cinema con Indigo Film, loro sono: Smita (Mia Maelzer) che vive in un villaggio indiano, incatenata alla sua condizione d’intoccabile, Sarah (Kim Raver) un avvocato di Montréal che ha sacrificato affetti e sogni sull’altare della carriera e infine Giulia interpretata da Fotinì Peluso.

“In questo film sono una ragazza pugliese cresciuta a Monopoli in una famiglia con retaggi molto conservativi e provinciali dai quali fatica ad uscire- racconta l’attrice-. La sua famiglia è composta prettamente da donne, è matriarcale. Poi c’è suo padre, che è il suo idolo e il suo eroe, e ha un laboratorio di trattamento di capelli per poi farne delle parrucche. L’azienda di famiglia però è sull’orlo del fallimento e lei farà di tutto per salvarla”.

E sul suo personaggio dice: “La sua forza è la curiosità. Non si ferma a quel che si conosce. Un po’ come me”. Anche coraggiosa? “Non saprei dire se sono coraggiosa o meno, ma sicuramente sono una ragazza curiosa e determinata alla ricerca del diverso. Adoro viaggiare, ultimamente soprattutto da sola. Ho voglia di scoprire il mondo. Quest’estate andrò in Estremo Oriente”, risponde. Nel film Giulia è anche una lettrice accanita, legge Pavese, Salgari e tanti altri autori, andando spesso in biblioteca. “A me piace tantissimo farlo, ma purtroppo non riesco ad essere molto assidua. Talvolta per inerzia perché leggo tanti copioni. Sul genere vario tanto, un po’ come con la musica, dai saggi ai gialli e ai polizieschi. Mi piacciono i libri che parlano di rapporti interpersonali e che parlano dei nostri sentimenti”.

Per quel che riguarda invece la religione, visto che ne La treccia lei si innamora di Kamal, un ragazzo di fede sikh che ha lasciato il Kashmir, dice: “Da parte di mia madre vengo da una famiglia ortodossa e ho molto vissuto la religione in Grecia. Non mi definirei credente nel senso stretto del termine, ma la spiritualità è un concetto che mi commuove tantissimo e la gente che la pratica con spontaneità, senza costruzioni. La spiritualità è qualcosa di puro, è la ricerca dell’uomo. Come l’arte, la pittura, il cinema, la danza è qualcosa di astratto che esprime la necessità di doverci ricongiungere con qualcos’altro. Mi piace tanto”.

Il tema principale del film affrontato attraverso queste tre storie resta comunque l’emancipazione femminile, ultimamente sulla cresta dell’onda, pensiamo anche al film della Cortellesi, campione di incassi, C’è ancora domani. “Se abbiamo necessità di fare dei film del genere vuol dire che ancora la strada è lunga per l’emancipazione femminile. Speravo che arrivata a venticinque anni sarebbero stati demodé invece non lo sono. Quindi forse c’è un problema. Questo vale in tutto il mondo perché purtroppo non c’è eccezione da questo punto di vista. È innegabile che la parità di genere è un concetto ancora molto astratto. In Italia poi facciamo di tutto per andare nella direzione opposta”, conclude Fotinì Peluso, che la vedremo prossimamente al cinema ne L’Enfant qui mesurait le monde di Takis Candillis e in Mani nude di Mauro Mancini al fianco di Alessandro Gassmann e nella seconda stagione della serie Tutto chiede salvezza.