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Luca Marinelli in M. Il figlio del secolo
Come si chiuso il 2024 della televisione italiana? E cosa dobbiamo aspettarci dal 2025? La televisione è un mezzo che produce innovazione a ritmi estremamente rallentati. E questo vale ancora di più per la televisione italiana, conservatrice per definizione. Eppure tante cose stanno cambiando nel modo in cui la televisione si fa e si guarda. Proviamo a mettere in fila qualche idea su cosa cambia e cosa resta immutato, e a illuminare qualche tendenza che ci accompagnerà non solo nel 2025, ma nel corso dei prossimi anni.
Il 2025 si apre con un capolavoro
Non è frequente poter dire che l’anno si apre nel migliore dei modi, con un buon auspicio sulla qualità dei prodotti audiovisivi e sullo stato di salute della nostra creatività. Era probabilmente dai tempi di Gomorra. La serie – osserviamo incidentalmente un nome che fa da trait d’union, quello dello sceneggiatore Stefano Bises – che non si usava più questa espressione: “capolavoro seriale”, un prodotto perfettamente in grado di competere ad armi pari con le gradi produzioni internazionali. Stiamo parlando di M. Il figlio del secolo con cui Sky Italia ha inaugurato questo 2025.
Critica e addetti ai lavori hanno potuto vedere M al Festival del Cinema di Venezia, lo scorso settembre: un altro segno che ci riporta alle ormai del tutto comunicanti porte girevoli che uniscono cinema e televisione, soprattutto in materia sul terreno della fiction seriale dalle qualità cinematografiche. E tutti questi mesi sono stati un rincorrersi di voci su quanto fosse bello il prodotto. M. Il figlio del secolo, la serie tratta dal romanzo omonimo di Antonio Scurati, per la regia di Joe Wright (regista, fra l’altro, de L’ora più buia), con la sceneggiatura di Bises e Davide Serino, è un capitolo entusiasmante nella storia della serialità nazionale.
L’elemento di maggiore potenza di questa serie in 8 puntate è la scrittura per lo schermo, che ci costringe a confrontarci con la figura di Benito (Amilcare Andrea) Mussolini, ritratto, in questo primo capitolo, dalla fondazione dei Fasci di combattimento (1919) al discorso in Parlamento del 3 gennaio del 1925, quello della rivendicazione dell’omicidio Matteotti e della nascita della dittatura. Un adattamento che è migliore della sua origine letteraria: un misto di richiamo al passato e all’attualità.
Sul primo versante, il regista ci trascina di peso nei primi anni Venti, evocando le tecniche del cinema di quei tempi. Ma poi lo sguardo in macchina di Mussolini – una continua “interpellazione” dello spettatore - distrugge la quarta parete: M (un gigantesco Luca Marinelli) sta parlando proprio a noi! Fedeli alla linea di una fiction radicalmente diversa da quella dei canali generalisti – “If it works for Rai and Mediaset it is not good for us”, era il mandato di Sky ai produttori negli anni gloriosi di Romanzo criminale. La serie e Gomorra – M dà un senso alla pay tv made in Italy, avvicinandola – si parva licet – al modello alto di HBO.
La generalista, tra cautela e innovazione
A fronte di questo modello cinematografico/autoriale della fiction Sky, la serialità generalista viaggia piuttosto sui binari consolidati, con l’ammiraglia di Rai Fiction (l’editore che più investe nel settore) che punta a consolidare, e rinnovare con cautela, un modello industriale che funziona da 25 anni. Ci sono i grandi ritorni dei titoli campioni di ascolto su Rai1 (da Un passo dal cielo 8 a Imma Tataranni 4 e Che Dio ci aiuti 8), ma anche una “linea innovativa” pensata per un pubblico più giovane e meno conservatore, cui è dedicata Rai2 e sempre di più, RaiPlay: un’innovazione di prodotto che si è dimostrata popolare coi casi di Rocco Schiavone (arrivato alla sesta stagione) e, soprattutto, del teen drama Mare Fuori, autentico miracolo produttivo che ha ravvicinato i ragazzi al brand del servizio pubblico, per loro praticamente sconosciuto.
Fuori dai due modelli – quello autoriale Sky e quello industriale e popolare Rai – alcuni tentativi interessanti: Mediaset cerca di ritrovare la strada delle fiction “di genere” (quella inaugurata, 25 anni fa, dalla Taodue di Pietro Valsecchi con Distretto di polizia), ancora una volta fra tradizione (il ritorno di Maria Corleone) e innovazione (per esempio con la serie Alex Bravo. Poliziotto a modo suo). Netflix punta ad allargare il proprio pubblico con grandi kolossal seriali tratti dai capolavori della letteratura: dopo Cent’anni di solitudine (distribuito lo scorso dicembre) è la volta dell’Italia, con Il Gattopardo, una produzione internazionale in sei puntate, che mira a funzionare sia sul “local” (il nostro Paese) che sul “global”.
L’intrattenimento in continuità col 2024: da Sanremo in giù
La grande famiglia dei prodotti televisivi si divide due gruppi: la fiction, da un lato, che mescola tradizione e innovazione, e l’intrattenimento o, meglio, “l’unscripted”, dall’altro lato, che invece punta decisamente sull’abitudine, sulla ritualità, sulla voglia di condivisione di formule perfettamente conosciute al pubblico. E come potrebbe iniziare l’anno se non col campione ricorrente di ascolti, da quando esiste Auditel, ovvero col “Festival della Canzone Italiana di Sanremo”.
Dopo cinque edizioni affidate ad Amadeus, e il trasloco di quest’ultimo al gruppo WarnerBros Discovery, si ritorna a Carlo Conti: che, in maniera intelligente, ha dimostrato di aver mandato a memoria la lezione sulla “moderata innovazione” che il Festival ha saputo incarnare negli ultimi anni. Ormai “Sanremo” ha raggiunto la sua formula magica, fatta di equilibrato mix di tradizione (in gara Massimo Ranieri e Marcella Bella) e novità (che, oggi come oggi, si traducono nei volti discussi, talvolta discutili, dei rapper & trapper, da Tony Effe a Fedez): Festival assieme della canzone e della televisione (o della Rai).
Carlo Conti parte con tutti i numeri giusti per ripetere il successo nazional-popolare costruito nel tempo da Amadeus: seguono Sanremo i cosiddetti target adulti (o anziani), zoccolo duro della Tv tutta, ma anche i giovani. E quest’anno con un vantaggio in più: dall’inizio del 2025, i dati di ascolto della cosiddetta “total audience” (ovvero la Tv che è vista, oltre che sul televisore, anche sugli schermi come smartphone, pc etc) entrano ufficialmente nel computo ufficiale di Auditel. Se le previsioni saranno rispettate, Conti parte con un vantaggio di quasi 300mila spettatori sull’edizione dello scorso anno.
Se Sanremo dà il segno all’intrattenimento del 2025, gli altri programmi rispettano il “suo” mandato: che in Tv si traduce nel riprodurre tutto ciò che funziona, e continua a funzionare. Le novità sono solo nei dettagli: da seguire con attenzione saranno i risultati di Stasera tutto è possibile, lo show scanzonato di Raidue presentato da Stefano De Martino reduce dal bagno di folla quotidiano di Affari Tuoi (una scommessa più che vinta dalla Rai). Fra ritorni del sempre uguale (C’è posta per te e Amici, i due campioni di Canale 5, ovvero De Filippi Television), una nuova edizione di Surprise Surprise a marzo in Rai, dopo Sanremo. Il titolo dice poco ai non addetti ai lavori: basti però ricordare che è il format originario su cui era basato Carramba… che sorpresa!, con Raffaella Carrà, uno dei titoli di maggior successo popolare degli anni Novanta. Insomma, l’eterno ritorno. A condurre il “reboot” Alessia Marcuzzi: diciamo non proprio all’altezza della Carrà.
Moriremo televisivi?
Un anno, il 2025, più di continuità che di discontinuità, insomma. D’altronde, il 2024 ha segnalato, ancora una volta, la “resilienza” della Tv tradizionale. Gli italiani acquistano le tv connesse (sono oltre 20 milioni nelle case), ma continuano a guardare la Tv lineare o tradizionale. L’ascolto, lo scorso anno, è cresciuto persino un po’ rispetto al 2023, e la televisione, nonostante qualche flop (soprattutto novità poco collaudate) continua a essere il mezzo più amato dagli italiani.
Certo, con grandi differenze generazionali:
sopra ai 35 anni si consuma moltissima TV, sotto quell’età si vira sulle piattaforme e, sempre più, sui social media, da Instagram a TikTok, che sono oggi i grandi distributori di contenuti audiovisivi, assieme a YouTub e. Ma, almeno in certi momenti (abbiamo citato Sanremo, tanto per fare l’esempio più rilevante), la Tv torna ad essere collante inter-generazionale.Per fortuna è così: la televisione è in fondo l’architrave di un sistema dei media nazionali, e anche molta produzione cinematografica si avvale di risorse che vengono dai broadcaster (per non parlare della citata fiction). Guardiamo al futuro con la consapevolezza che questo sistema nazionale, produttore di cultura popolare condivisa e diffusa, è una risorsa da difendere.