Si può ridere di tutto? Enrico Beruschi non ha dubbi “Non si potrebbe ma si deve”. L’attore, celebre per trasmissioni passate alla storia come Drive In, Non stop ed Emilio, è protagonista al Lecco Film Fest di un incontro su satira e umorismo, moderato da Valerio Sammarco (Rivista del Cinematografo). Sul palco, insieme a lui, anche Franz (senza Ale, al secolo Francesco Villa) e Maurizio Ferrini. Quest’ultimo, tornato alla ribalta grazie alle tante apparizioni televisive nei panni della Signora Coriandoli, ricorda i primi passi nel mondo dello spettacolo: “Ero amico di Nicoletta Braschi: suggerì il mio nome a Roberto Benigni, con cui all’epoca si era appena fidanzata, mi inserì in un elenco di nomi che finì nelle mani di Renzo Arbore. Un anno e mezzo dopo Arbore telefonò a casa: gli rispose mia madre, che era un po’ una Coriandoli, poi lo richiamai e mi disse di andare a Roma. Per noi di Cesena era come andare in Centro Africa”.

Di lì a poco l’ingresso nel cast di uno dei programmi entrati maggiormente nell’immaginario collettivo: “Arbore era andato a fare una crociera nel Mediterraneo su una nave sovietica. Dato che l’orchestra stipendiata non aveva voglia di lavorare, lui e altri ospiti cominciarono a improvvisare uno spettacolino ogni sera. Con lui c’era Marisa Laurito, sulla nave c’era pure Sergio Leone. Insomma, si appassionarono così tanto a quel sostituto d’attrazione che a Renzo venne l’idea di Quelli della notte, una sorta di festa a casa sua ma negli studi di via Teulada”. Il successo carburò piano: “Arbore era convinto che sarebbe stato un flop, i giornalisti ci ignoravano. Nelle prime puntate abbiamo la faccia dei disperati. Finché, all’improvviso, il boom”.

Franz e Maurizio Ferrini
Franz e Maurizio Ferrini

Franz e Maurizio Ferrini

(Stefano Micozzi)

Ferrini diede vita a un improbabile comunista romagnolo, rappresentante di pedalò della ditta Cesenautica: “Avevo fatto tante Feste dell’Unità: sono raccoglitore, non coltivo, non ho mai inventato una battuta. Abitando in Romagna, ho un eccesso di repertorio. Dovrei essere tutelato dall’Unesco per la tutela della cultura romagnola. Il successo fu tale che, quando ci furono le elezioni del 1985 e il PCI perse voti, Aldo Tortorella (storico dirigente comunista, ndr) disse che era colpa della televisione perché c’era Ferrini che prendeva in giro il partito”.

Altra scuola, quella di Beruschi: “Ho fatto la seconda media con Renato Pozzetto, lui era stato bocciato e allora lo misero al primo banco accanto a me, per tenerlo buono, dato che avevo 10 in condotta. Invece la ragioneria l’ho fatta con Cochi Ponzoni, ma poi bocciarono anche lui”. Allo spettacolo, Beruschi ci arriva superati i trenta: “Mi dimisi dalla Galbusera e cominciai a fare un po’ di cinema. Ero talmente ingenuo che non mi accorsi che uno dei primi film era un semiporno: me ne accorsi sul set, vedendo l’attrice che si spogliava. Allora per la vergogna mi nascosi dietro agli alberi”.

Se Beruschi il cinema l’ha frequentato di rado, a Ferrini si devono almeno due partecipazioni memorabili: “Sul set de Il commissario Lo Gatto, Dino Risi, un borghese milanese laureato in psichiatria, mi fissò per una settimana e infine sentenziò: ‘Maurizio, ha un cranio criminale’. Forse aveva ragione. Invece Carlo Verdone mi chiamò nel bel mezzo di un funerale e mi propose il ruolo di Lepore in Compagni di scuola: come cattivo sono credibile, con lo sceneggiatore Leo Benvenuti ci fu subito intesa. Anni dopo ho scoperto che, durante la Guerra del Golfo, Saddam e i suoi guardavano le commedie italiane in videocassetta: che dire, allietavamo gli iracheni”.

Sarebbero possibili, oggi, percorsi del genere? “Sta cambiando tutto – riflette Franz – e non riusciamo ad aprire gli occhi sul momento di passaggio che stiamo vivendo. È come quando si passò dal varietà alla televisione. Tiktok è l’equivalente della televisione, offre una visione sul mondo, puoi trovare di tutto. Io sono cresciuto con Beruschi, ho fatto tardi con Ferrini, in quelle trasmissioni c’era un clima irripetibile, la stand up di cui si parla tanto oggi c’era già al Derby. Ora c’è un gap generazionale: mi sembra che i più giovani abbiano difficoltà a trovare qualcuno a cui ispirarsi”.

Secondo Beruschi, il limite dei giovani di oggi è la troppa fedeltà ai testi degli autori: “Noi combattevano con un pubblico vero, per registrare Drive In non bastavano cinque giorni, ci sforzavamo a non ripetere cose già fatte”. Sulla stessa linea Ferrini: “Noi siamo partiti dal confronto con il pubblico: sul palco ho bisogno di sintonizzarmi con chi mi sta di fronte, è ogni volta diverso. È come quando vuoi conquistare una ragazza: i romagnoli ne sono talmente ossessionati che seguono degli schemi e delle regole, ma in realtà ogni ragazza è diversa e non puoi replicare un modello. È questa la base di un comico. Il virtuale non dà feedback”.

Enrico Beruschi e Valerio Sammarco
Enrico Beruschi e Valerio Sammarco

Enrico Beruschi e Valerio Sammarco

(Stefano Micozzi)

Anche la comicità è cambiata? “Nasce dal contrasto – dice Franz – e non dal dileggio, è imprescindibile. Chaplin era un disadattato, un senzatetto, eppure non lo prendevi mai in giro: faceva parte della tua realtà, potevi essere tu. Picchiatello, la maschera di Jerry Lewis, era un disabile ma faceva ridere perché c’era affetto e non cattiveria. Stanlio e Ollio sono due idioti che mangiano il cappello. Perfino io e Ale, quando facciamo il numero sulla panchina, siamo al limite, raccontando una forma non binaria di pensare”.

“Mel Brooks – ricorda Ferrini – aveva trovato una buona sintesi: tragedia è io che mi rado e mi taglio, comicità è tu che inciampi e muori. Oggi dilaga l’odio, c’è troppa suscettibilità: la comicità serve proprio a stemperare l’odio, sin dai tempi primitivi. L’umorismo deve essere affettuoso e selvatico, perciò i dittatori odiano i comici e si offendono subito. La risata è un ponte tra le persone”.