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Debbie Reynolds e Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia
Come è nata l’idea di realizzare Cantando sotto la pioggia?
Arthur Feed aveva venduto il suo repertorio alla MGM e c’era l’idea di realizzare un musical. Dal momento che le canzoni appartenevano tutte al primo periodo del sonoro, la collocazione storica sarebbe dovuta essere quella dei primi film parlati. Eravamo nel ‘51 e i film girati vent'anni prima erano realizzati a volte in maniera rozza. Oggi siamo ancora a vent'anni di distanza dal ‘51. Il grande cambiamento nel modo di realizzarli ha costituito la differenza fra gli anni Trenta e Cinquanta, differenza molto più rilevante che non fra i Cinquanta e i Settanta. Tutti noi amavamo il cinema. Non guardavamo ai primi film parlati o a quelli muti pensando di essere superiori. Li guardavamo con stima e affetto. Non ci siamo mai detti: “Dobbiamo fare meglio”. Ci dicevamo solo che erano stati fatti e che a noi piacevano.
Ha lavorato in stretta collaborazione con Comden e Green nel preparare la sceneggiatura?
All’inizio abbiamo avuto molte discussioni. C'è una buona parte di bugie in quello che dicono nella loro prefazione al libro su Cantando sotto la pioggia. Green afferma che si erano dissociati da me, che avevano scritto la sceneggiatura, che l'avevano inviata a Gene Kelly e che quest'ultimo aveva detto di volerla realizzare. La verità è esattamente l'opposto. Ci incontrammo per alcune settimane in California e si parlò del soggetto. Gene voleva realizzarlo e loro hanno scritto solo una parte della sceneggiatura. Non è proprio come loro affermano. Ma non me la prendo: è una cosa marginale.
Quando lei e Kelly giravate il film, lavoravate in tandem oppure lei si occupava di determinate cose e Kelly di altre?
No, lavoravamo in collaborazione. Non abbiamo mai detto: "Io faccio questo e tu quello”. Anche durante le prove dei numeri, quando le cose ci preoccupavano, lo volevo sempre vicino. Quando dovevamo girare molte scene in poco tempo, io lavoravo in un teatro di posa e Kelly preparava un altro numero. Alla fine ci scambiavamo i ruoli: lui visionava quello che avevo fatto e io guardavo il materiale che lui aveva girato.
Tre ragazze di Broadway fu realizzato subito dopo. Mi pare che tale film avesse un budget piuttosto modesto.
Molto modesto. Anche Cantando sotto la pioggia aveva avuto dei costi di produzione non molto alti, tranne che per le scene finali. Ma Tre ragazze di Broadway è costato davvero molto poco.
Mentre compaiono i titoli di testa del film, si vedono le tre interpreti principali che cantano mentre si preparano per la loro audizione. La scena è girata con lo split screen. Non le sembra che anticipi la rappresentazione della canzone Bonjour Paris in Cenerentola a Parigi?
Sì, è vero. Ma non era nelle mie intenzioni: non ho girato quella scena come se fosse proiettata nel futuro e, d’altra parte, posso anche non ricordarmi di ciò che ho fatto.
Lei è stato anche coreografo. Nei suoi film ha lavorato in stretta collaborazione con i coreografi, come a esempio con Michael Kidd per Sette spose per sette fratelli?
Più che per la coreografia, ho lavorato soprattutto per ciò che riguarda la sceneggiatura e nella fase preparatoria. Lo scopo era di ottenere l'approvazione del produttore. Mi aveva detto: “Tu non puoi essere un autore serio, vuoi fare un film su dei boscaioli rudi e primitivi adoperando i ballerini del Ballet Theatre. Sai che cosa avrai come risultato: dei boscaioli effeminati!”. Voleva che fosse una passerella con canzoni folk americane. Io volevo un musical in piena regola e non una rappresentazione campestre all'americana.
È soddisfatto del risultato di Sette spose per sette fratelli?
Solo in parte. Detestavo molte cose che eravamo costretti a fare allora. Tutte le scene che si svolgevano nelle case di campagna furono girate in teatri di posa. Ci sarebbe voluto più tempo e più denaro per realizzare il film con scene dal vero e con il tempo adatto. Ci sarebbe stata troppa perdita di tempo. Così dovetti rassegnarmi alle richieste del produttore e fare quanto di meglio potevo. Rivisto ora, sembra un prodotto falso, ma all'epoca è stato un grande successo. Penso che sia stato il miglior musical mai realizzato fino a quel periodo.
Era più facile allora realizzare i film che un autore aveva in mente di fare?
No, niente affatto.
Così parla il cuore è un esempio di ciò?
È stato un grosso successo. In realtà tutto dipende dal significato che noi diamo a tale parola. Se la misura del successo è data al numero dei biglietti venduti, allora è stato un grosso successo. Se per successo si intende il consenso avuto dalla critica, allora non lo è stato.
Quel particolare genere di musical, che è la biografia dei compositori, non mi sembra sia molto congeniale al suo talento.
Lo detestavo! Lo odiavo allora, e lo odio adesso. Io detesto molti dei miei primi film. È sempre bel tempo in molti brani sembra il seguito di Un giorno a New York. Anche qui troviamo tre soldati che si incontrano dieci anni dopo la guerra. Le intenzioni erano queste: vedere che cosa era accaduto a quelle tre persone dieci anni più tardi. Avevano creduto negli ideali più alti e, adesso, erano delusi dalla vita. Era un’idea terribilmente affascinante.
Il film ha un’amarezza di fondo che si addice poco a un musical.
Non credo che sia amaro proprio perché gli interpreti sono delusi dalla vita. Molte cose accadono da quando si ha vent'anni e si è giovani e idealisti a quando si sono superati i trent'anni e la realtà ti dice che cosa sei stato capace di fare.
Mi hanno sempre colpito l’uso dello split screen e le nuove tecniche utilizzate nel film, come lo schermo gigante e il cinemascope. Le piaceva lavorare con questi nuovi strumenti?
Mi piaceva quel formato, ma non c’erano lenti molto buone. Non erano molto usate perché erano ingombranti e restringevano la scelta dell'inquadratura. Ma ora abbiamo delle lenti anamorfiche straordinariamente buone.
La danza di Gene Kelly con i pattini a rotelle dopo che ha lasciato Cyd Charisse ricorda molto il numero che accompagna i titoli di testa di Cantando sotto la pioggia.
Kelly è felice e innamorato e sta danzando giù per la strada. È difficile per il pubblico rendersi conto quanto sia complicato trasformare una qualunque situazione in un numero di danza. La cosa migliore è far danzare i protagonisti del film quando questi sono in una condizione di felicità, perché questa è la sola ragione per cui si balla anche nella vita reale. Una persona balla raramente quando è di cattivo umore. La difficoltà nel fare i numeri di danza sta nel fatto che non è possibile farli continuamente susseguire nel film, basandosi sull'unico fattore della felicità degli interpreti. Lei ha notato delle affinità tra diversi film per quanto riguarda i numeri di danza. Nel numero Moses supposes, alcuni contadini egiziani stanno per andare a divertirsi: sono felici e danzano. La felicità è l'elemento che rende simili i numeri di danze da lei ricordati.
Cenerentola a Parigi è stato dato di recente al Museo d'arte moderna di New York e ha avuto un enorme successo. Il pubblico ha subito il fascino e l'eleganza formale del film e le deliziose interpretazioni di Fred Astaire e Audrey Hepburn.
Nelle ultime tre settimane ho rivisto Cantando sotto la pioggia e Cenerentola a Parigi e questo ultimo era penoso a vedersi. Non per colpa di Astaire o di Hepburn, che sono meravigliosi, ma è la sceneggiatura che è scricchiolante, vecchia e malata. Vorrei non avere realizzato un film come quello! Non ci sono situazioni, niente, niente, solo aria fritta. Il film in realtà si regge solo sulla bravura dei due protagonisti. Non è sufficiente comunque per un film poggiare solo sulle interpretazioni, le canzoni di Gershwin e il fascino delle immagini. Questo non è un film. Quello che si è perso è l'intera ossatura e ciò è una cosa vergognosa.
Richard Avedon ha collaborato molto con lei. L’ha aiutata nel trovare uno stile per il film?
Sì, è stato uno dei miei più stretti collaboratori. Siamo molto amici. Penso che se qualcuno lavora per me, deve darmi il massimo. Non ho l'intento di spremerlo e poi di gettarlo via. Ma voglio poi tenerlo per sempre con me.
Quando il film uscì qualcuno lo classificò come “anti-culturale”.
Lo so. Probabilmente è vero se giudicato in retrospettiva, sebbene questo non fosse nelle mie intenzioni. Ma se si vede il film oggi, ci si può spiegare bene il perché di quel giudizio e penso che corrisponda a verità. Naturalmente definire il film in un altro modo non sarebbe possibile, dato che è una vera e propria bolla di sapone. Sono molto contento che a questo film sia stata messa l'etichetta di anticulturale, perché per lo meno ha in qualche modo una definizione.
Tuttavia buona parte delle riviste di allora erano entusiaste del film e lo giudicavano un grande esercizio di stile.
Non lo nego. Ma non penso che sia sufficiente, perché non è tutto quello che volevo dire con quel film. Quello che mi piaceva di questo film era proprio il suo stile. Desideravo fare Cenerentola a Parigi più di ogni altro, perché in questo modo avevo l'opportunità di trattare una materia che possedeva in sé molte cose che mi erano congeniali e che avevo in mente di trattare. Tuttavia il fatto che mi piacesse farlo non significa che io lo consideri un capolavoro; e in realtà non lo è.
Qual è stato il contributo di George Abbott come co-regista nella realizzazione di Il gioco del pigiama?
Straordinario. Lo ammiro molto: Abbott ha fatto per il musical più di qualsiasi altro. È un uomo di grande talento e che ha ottenuto grandi risultati. Come potevo non stimarlo? Io pensavo che era la persona che avrei voluto come co-regista. Stavamo riesaminando la sceneggiatura, io cominciai col domandargli: “Che cosa fai? Come ti sembra?”. Poi dissi: “George, tu sai che io ho già diretto assieme ad altri i miei film, posso mettere il tuo nome sui titoli di testa come co-regista?”. Lui mi rispose: «Non voglio, non mi va di stare sempre in giro». Replicai: “Non è necessario che tu debba fare continui spostamenti. Voglio che tu lavori tranquillo come quando io e te parliamo e voglio che tu abbia nel film la stessa posizione che ho io”. In effetti Abbott non fu costretto a stare molto in giro: solo la mattina. Allora gli piaceva molto giocare a tennis. Ecco come è diventato co-regista.
Quando lei progetta un musical, preferisce usare del materiale originale o adattare per il cinema un lavoro teatrale?
Non mi piacciono gli adattamenti. Non mi diverto, si è troppo limitati nella creazione. Li faccio solo se si basano su un buon lavoro teatrale e se non ho niente di meglio da fare. È ovvio che preferisco lavorare su materiali originali. Tutti i film che considero o sono considerati i miei migliori sono tratti da soggetti originali: per esempio, Cantando solto la pioggia, È sempre bel tempo, Sette spose per sette fratelli, Cenerentola a Parigi…
Baciala per me è stato il suo primo film interpretato da Cary Grant. La protagonista, Jayne Mansfield, è diversa dalla maggior parte delle interpreti femminili dei suoi film.
Ho avuto molto poco da fare nel mio primo film con Grant. Quando mi hanno chiesto di dirigerlo, la sceneggiatura era già stata scritta e approvata e tutti gli attori erano stati già scelti, tranne Suzy Parker e pochi altri generici. Non è il mio film preferito. Non lo detesto, ma non è come avrei voluto farlo.
Il suo secondo film con George Abbott è Quando Lola vuole e il suo ultimo musical almeno fino al recente The Little Prince. Come mai questo lungo intervallo?
I musical che venivano realizzati erano molto pochi e quelli che mi avevano offerto di girare erano film in cui ogni cosa era stata fissata precedentemente e io non potevo apportare alcun cambiamento; per esempio Tutti insieme appassionatamente. Sono sicuro che questo film non avrebbe avuto lo stesso successo se lo avessi diretto io: il soggetto non mi piaceva. Chiaramente a Bobby Wise stava bene. Se uno non apprezza il soggetto, è molto difficile che riesca a girarlo con convinzione. La stessa cosa mi è capitata per Hello Dolly!.
Ha lavorato alla sceneggiatura di Indiscreto prima di cominciare a girare il film?
Oh, sì. Io sono stato anche coproduttore di Quando Lola vuole e Il gioco del pigiama, ma Indiscreto è il film che mi ha permesso di dire: “Ora io sono l’unico responsabile della produzione, ho tutto il film sotto controllo e quello che faccio è esattamente quello che voglio”.
Come mai ha cominciato a fare il produttore solo allora? E perché voleva avere tutto sotto il suo controllo?
Ognuno vuole farsi i suoi film. Questo è il genere di autorità che uno desidera: realizzare il tipo di film che vuole e nella maniera che vuole. Tuttavia si può fare questo solo se si ha l’autonomia assoluta nelle decisioni e la si può avere solo se si è anche produttori.
Perché ha deciso di cambiare completamente l'ambientazione di Indiscreto, spostandola da Washington a Londra?
Penso che Washington non sia un posto molto romantico. Far vagabondare i protagonisti per le vie di Washington mi sembrava che fosse qualcosa di piuttosto freddo. Londra forniva un tipo di sensazione internazionale alla Lubitsch. Era proprio quello che ci voleva.
Cary Grant sembra l’attore perfetto per i film leggeri e sofisticati che lei ha diretto.
Sia Grant che Bergman erano assolutamente perfetti nelle loro parti. Se non li avessimo avuti come interpreti, il film sarebbe risultato ben misero. Tuttavia torniamo a quello che le ho detto prima: quando lavoro con una persona, devo ottenere il meglio da lei e Grant e Bergman erano adattissimi per interpretare quella vicenda. Erano abbastanza maturi per interpretare una storia di due persone che con il sopraggiungere della vecchiaia riscoprono l'amore.
Dopo Indiscreto, lei ha diretto Ancora una volta con sentimento, un altro adattamento cinematografico di una commedia di Broadway. Il film viene ricordato in modo particolare per il delizioso finale interpretato da Kay Kendall.
Mi piaceva il soggetto, ma non mi è piaciuto il film. Si sarebbe potuto girare una meravigliosa e romantica love story. Se dovessi rifarlo oggi, senz'altro farei un film delizioso, molto diverso da quello. Aveva una trama molto divertente, allegra e con una ambientazione piacevole, tuttavia ci sono molte ragioni per cui non è come avrebbe dovuto essere. Una di queste è stata certamente la malattia di Kay Kendall; un'altra è stata l'aver girato a Parigi; una terza l'aver scritturato Gregory Ratoff, e così via.
Aveva le medesime intenzioni quando diresse il suo successivo film con Cary Grant, L’erba del vicino è sempre più verde?
Non è stato un grosso successo, ma non si può neanche dire che sia stato un fallimento. Uno dei fattori negativi era rappresentato dal cast: troppa gente, troppi attori importanti, che alla fine non facevano altro che appesantire il film. Il pubblico pensava di andare a vedere qualcosa come Il grande paese e non una piccola bolla di sapone. Quando si vedevano quei quattro grandi nomi, si era in realtà portati a pensare che essi erano sproporzionati e fuori posto per un film come quello. Il risultato è che è un film inconsistente, lontano dalle mie reali intenzioni. Sono rimasto molto insoddisfatto. Penso che fosse troppo teatrale.
Negli anni che vanno dal 1957 al 1960 la sua produzione sì è notevolmente incrementata. In questo periodo infatti lei ha diretto ben otto film.
Otto film! Lei non è serio! Ho fatto molto di più.
Dal 1960 al 1963, l'anno in cui ha diretto Sciarada, lei non ha prodotto nulla. Come mai?
Non riuscivo a trovare nulla che mi interessasse realmente. Avevo tutto sulle spalle e rischiavo in prima persona. Così prima di produrre un film dovevo essere assolutamente sicuro che mi piacesse.
Molti hanno notato l'influenza di Hitchcock in Sciarada e in Arabesque. I due film sono stati paragonati a Intrigo internazionale e a Caccia al ladro.
Sicuramente mi rendevo conto di fare una commedia avventurosa e chiaramente sapevo che anche Hitchcock ne aveva fatte. Non voglio annoiare la gente con i discorsi sull'influenza o meno di Hitchcock sui miei film. Credo anche di essere noioso ripetendo che Hitchcock non ha inventato la commedia avventurosa o che egli non ha il copyright di questo genere. Sono stati fatti moltissimi film di questo tipo e non erano di Hitchcock. Certamente penso che il migliore di tutti i thriller sia Intrigo internazionale, ma io non ho preso niente da Hitchcock e non penso che egli abbia il monopolio del genere. Non ne è stato l'inventore; altri prima di lui si erano già cimentati; ricorda, per esempio, L’uomo ombra? Hitchcock ha realizzato dei validi film del mistero, alcuni noiosi, altri terrificanti. Non è che egli non abbia diretto dei buoni film, ma non è neanche esatto dire che abbia diretto solo buoni film.
Una delle cose più belle di Sciarada è la freschezza e la spontaneità del rapporto tra Cary Grant e Audrey Hepburn.
Il loro fascino è contagioso. Il film era stato preparato con molta cura. Non c'era nulla di improvvisato. Penso che non si debba mai improvvisare quando si gira: tutto deve essere preparato, studiato e poi messo in atto. La parola improvvisazione è molto curiosa, perché ogni cosa all'inizio è improvvisata. Si deve infatti cominciare da un punto o da un altro, ma bisogna poi pianificare e programmare il lavoro. Comunque Sciarada è un film che mi piaceva e che mi piace ancora adesso. Penso che sia divertente e che quello che abbiamo tentato di fare sia stato coronato da successo.
Arabesque sembra voler riproporre quella formula di successo che vede uniti l'umorismo alla suspense.
Non credo che questo film sia stato un grosso successo. Ma è un altro genere. Ho cercato di accentuare le scene di azione che non sono presenti in Sciarada. Era stato concepito come un film d’azione e come tale funzionava benissimo. Quello che invece non andava era la sceneggiatura; non era mai andata bene e io lo sapevo, ma ormai c'ero dentro fino al collo. Inoltre Gregory Peck e Sophia Loren non erano così affiatati come Grant e Hepburn. Ma, lo ripeto ancora, Sciarada e Arabesque non appartengono allo stesso genere, così come La finestra sul cortile è completamente differente da Intrigo internazionale. La questione di fondo in realtà è se si può fare un buon film con una cattiva sceneggiatura. Secondo me, in Arabesque c’erano gli stessi problemi che avevo avuto con Cenerentola a Parigi. Tutti e due cedevano proprio nei punti in cui avrebbero dovuto essere più forti. Se avessi avuto buone sceneggiature, allora avrei realizzato opere straordinarie, usando la stessa quantità di lavoro e di inventiva e il pubblico li avrebbe accolti meglio.
Si può dire che Due per la strada è il suo film migliore e il più completo. È il suo preferito?
In qualche modo è un film a cui sono molto attaccato. A molta gente è piaciuto e io sono riconoscente a tali spettatori, probabilmente hanno trovato qualcosa di personale, qualcosa che li toccava molto da vicino, soprattutto per quanto riguardava i problemi della coppia. Molte cose che ho raccontato accadono nella realtà. Curiosamente credo che non avesse in sé i requisiti per essere un film di successo. Poteva essere molto più serio, perché in realtà esso prende in esame le basi stesse di un rapporto matrimoniale, cosa che non accade per esempio in Indiscreto, che è invece un sottoprodotto di un film romantico. Due per la strada tenta veramente di prendere in esame una istituzione come il matrimonio, ma lo fa molto spesso dietro lo schermo del divertimento. In questo modo non risulta sufficientemente credibile. Ma per questi risultati non posso che biasimare me stesso. Nonostante tutto, penso che sia un buon film. Se dovessi rifarlo, lo farei senz’altro meglio. In alcuni passaggi è troppo melenso e per questo lontano dalla realtà. Anche se ha dei momenti meravigliosi in cui la realtà quotidiana viene rispecchiata fedelmente, in altri punti risulta addirittura caramelloso. È romantico in un senso falso, non rappresenta un amore autentico.
Le interesserà sapere che il suo film successivo, Il mio amico il diavolo, viene riproposto con frequenza nelle università americane e che è giudicato un film a sfondo religioso.
Mi piace molto. Mi è costato molta fatica, tra tutti i film che ho diretto è quello nel quale sono riuscito a esprimere le cose che io credo importanti nella vita. Certamente ci sono dei soggetti migliori che non raccontare la storia di un uomo che vende la propria anima al diavolo. Posso dire che molte cose che io volevo esprimere sono contenute in Il mio amico il diavolo. Quali valori si tradiscono della vita, quando uno vende se stesso? Come si può sapere quando uno tradisce se stesso e come ci si può rendere conto di un simile processo, che molte volte può essere strisciante? E che cosa succede quando si compie un passo del genere? Quali sono le azioni che uccidono l'anima di ognuno di noi e che tutti compiamo nella nostra vita? Mi interessano molto gli argomenti che riguardano Dio, la religione e il diavolo.
Quei due è un film che, sia per il tema lo studio del comportamento degli omosessuali sia per il tono, possiede una certa dose di amarezza mal celata; sembra piuttosto che si collochi in una posizione di netto distacco dalle altre opere della sua carriera di regista.
Mi piace Quei due e quello che sono riuscito a dire. Non so se mi sono mai chiesto se avrebbe avuto successo. Non ero molto soddisfatto dopo averlo girato, ma aveva delle cose che mi piacevano molto. Io detesto il genere di vita che mostra; per me è molto imbarazzante vederlo. Credo che Richard Burton fosse perfetto nella parte e penso che il film abbia trattato molto bene i problemi umani che possono nascere in una famiglia. Sono molto contento di aver diretto un film come Quei due.
Ci sono stati dei progetti di film che avrebbe voluto realizzare, ma che, per un motivo o per l’altro, non è riuscito a fare?
Moltissimi, moltissimi… Avrei voluto realizzare Il giro del mondo in ottanta giorni, Il violinista sul tetto… Ci sono milioni di progetti che avrei voluto realizzare.
Questa intervista è stata pubblicata sulla Rivista del Cinematografo di novembre 1977 ed è stata tradotta da Carlo Tagliabue.