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In Messico quello delle madri-coraggio è ormai un filone codificato. Si tratta di film a basso budget, presentati ai festival, che difficilmente trovano una distribuzione da noi. Parlano della lotta ai cartelli della droga, della perdita dei famigliari, di persone comuni schiacciate dal peso della criminalità. È l’altra faccia di Narcos, Traffic o Soldado del nostro Stefano Sollima. Un esempio era stato Sin Señas Particulares di Fernanda Valadez.
Adesso al Tertio Millennio arriva La Civil di Teodora Ana Mihai. Spesso dietro la macchina da presa ci sono cineaste militanti, che raccontano le storie con uno sguardo femminile che accarezza le loro eroine. Sono lontane da Cuarón, Iñárritu o Del Toro. Non abbracciano la distopia di Nuevo Orden di Michel Franco, hanno l’occhio fisso sulla realtà, una regia rigorosa, che si focalizza sul dolore, sui sentimenti. Anche in La Civil al centro c’è una madre che deve ritrovare sua figlia. A farla sparire è stata la follia dei cartelli, l’escalation di violenza ormai incontrollabile. Lei non si arrende, si allea con i militari. Vuole riportarla a casa a tutti i costi.
La Civil segue la scuola del bellissimo Missing – Scomparso, e si accosta anche a Una mamma contro G. W. Bush di Andreas Dresen. Il racconto è rarefatto, si concentra sulle sensazioni, sui piccoli gesti. L’essere genitore esplode, infiamma la lotta, diventa un baluardo contro ogni tipo di brutalità. Un film feroce, senza via di scampo, una discesa agli inferi sempre più cupa, come dimostra la fotografia. Nella prima parte le luci sono più accese, per poi spegnarsi e lasciare spazio all’oscurità.
All’apparenza La Civil potrebbe essere una storia senza speranza, ma non è così. L’invito è a ribellarsi, a non lasciare nulla di intentato. La paura non è un’emozione tollerabile per la protagonista, disposta anche a trasformarsi in una vendicatrice. Ed è qui la vera domanda: che fine ha fatto la giustizia? Sembra che sia rimasta solo quella “fai da te”, in un West dove dominano le regole di chi spara più veloce.
La Civil è un monito, un’istantanea che si focalizza su vittime silenziose, ai confini del mondo, di cui non si parla mai abbastanza. È nel silenzio delle periferie che si consuma la tragedia, a essere più colpiti sono gli ultimi, coloro che non riescono a difendersi con l’avanzare della notte.