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Lily Gladstone e Martin Scorsese sul set di Killers of the Flower Moon (credits: Melinda Sue Gordon/AppleTV+)
“Ho spesso avuto la sensazione di inseguire la storia del nostro Paese mentre questa scivolava via”. Pur dando conto della bancarotta dell’umanità, lo scrittore e giornalista del New Yorker David Grann apre il racconto sulla cospirazione diffusa contro la nazione indiana Osage nel nome della luce - contraltare spirituale ai fumi di zolfo e al vapore rovente nella distesa vulcanica Unzen di Silence, di Martin Scorsese.
Ad aprile, in Oklahoma, milioni di Viole del Pensiero si distendono sulle praterie; quella galassia di petali fa sembrare che “gli dèi abbiano sparso dei coriandoli”, osserva lo scrittore Osage, John Joseph Mathews. Nel mese di maggio, quando i coyote ululano sotto una luna gigante, le piante più alte cominciano a insinuarsi sopra i fiori più piccoli, rubando loro acqua. I colli dei fiori si spezzano, i petali svolazzano in aria, e in breve tempo finiscono sepolti. Sottoterra. Gli indiani Osage chiamano maggio il periodo della luna che uccide i fiori. Con lo stesso senso di impermanenza, immerso nel silenzio di Nagasaki, Scorsese ci mostrava uomini europei con le mani legate, condotti da soldati giapponesi alle sorgenti bollenti che punteggiano il paesaggio. Vesti strappate, acqua bollente versata sulla pelle e mestoli perforati affinché ogni singola goccia possa colpire la scorza “come un carbone ardente”.
È proprio da queste sorgenti jigoku, o inferni, catturate in Silence dal direttore della fotografia Rodrigo Prieto, che le affinità tra il libro investigativo Killers of the Flower Moon e l’Uomo Che Non Dimentica (Scorsese) trovano un punto di contatto. Le colline dell’Oklahoma somigliano a un tavolo di blackjack; potrebbero persino ospitare fiumi di denaro e montagne di neon, giocatori d’azzardo e criminali (quelli di Casinò) ma sanno anche sputare al cielo bacche velenose e luci di New York, in un gioco d’ombra degno dei titoli disegnati da Saul Bass per Quei bravi ragazzi e L’età dell’innocenza.
L’ambientazione del libro di David Grann è la nazione indiana Osage degli Anni Venti, quando i giacimenti di petrolio avevano portato enormi ricchezze ai membri della tribù. Ben presto, scrive Grann, le persone più ricche del mondo divennero le più assassinate. E i killer, si scoprirà, erano bianchi locali che avevano stretto amicizia con i nativi d’America e in molti casi sposato le loro vittime. Crimini intimi, perpetrati con “una dose shakespeariana di disonestà”.
Tra i parecchi personaggi che Scorsese dovrà presentare nel suo adattamento, c’è Mollie Burkhart (Lily Gladstone), residente nella città di Gray Horse. Come i genitori, Mollie e le sue sorelle hanno i loro nomi iscritti nell’Albo degli Osage, il che significa che possedevano una fortuna. All’inizio degli anni ‘70 del XIX secolo, gli Osage erano stati cacciati dalle loro terre in Kansas, trovando rifugio in una riserva rocciosa e priva di valore nel nord-est dell’Oklahoma, fino a scoprire, decenni dopo, che la nuova dimora, grande quanto il Delaware, si trovava sopra alcuni dei più grandi giacimenti di petrolio degli Stati Uniti. Per ottenere quel petrolio, i cercatori dovevano pagare agli Osage contratti di locazione e royalties.
Solo nel 1923, la tribù incassò più di 30 milioni di dollari, l’equivalente odierno di oltre 400 milioni di dollari. Mentre, nel luogo più isolato dell’America dell’Età del Jazz, i membri della famiglia Osage muoiono uno dopo l’altro, l’ultima sorella vivente, Mollie, comunica a un sacerdote che la sua vita è in pericolo.
Suo marito, Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) è descritto da Grann come un uomo bianco che ha “la bellezza tipica di una comparsa in un film western”. Cresciuto in Texas, figlio di un povero coltivatore di cotone, è rimasto incantato dai racconti delle Osage Hills, quel residuo di frontiera americana dove si diceva vagassero ancora cowboy e indiani.
Nel 1912, va a vivere con lo zio, un prepotente allevatore di bestiame di nome William K. Hale (Robert De Niro) a Fairfax. E Mollie si innamora di lui. “Mollie è nata nel 1880 ed è cresciuta in una loggia, praticando la tradizione Osage e parlando Osage. Poi, nel giro di trent’anni, grazie ai giacimenti di petrolio sotto la sua terra, diventa una delle persone più ricche degli Stati Uniti; vive in una villa, è sposata con un marito bianco e ha dei figli” spiega Grann. “È una persona a cavallo non solo di due secoli ma, per molti versi, di due civiltà”.
Grazie alla lungimiranza e alle manovre legali, gli Osage avevano trovato un modo per legare a sé il petrolio e metterlo al riparo dalle mani indiscrete degli intrusi bianchi; un meccanismo noto come headrights, che vietava la vendita diretta dei diritti petroliferi e garantiva a ogni membro effettivo della tribù una quota dei proventi di qualsiasi contratto di locazione. Ma Killers of the Flower Moon è, soprattutto, la fotografia della nascita dell’FBI, un ufficio investigativo che ha già folgorato Scorsese (The Departed e The Wolf of Wall Street). Quella di Osage diventerà, di fatto, un’indagine federale.
“All’epoca, gli Osage emettono una risoluzione tribale in cui chiedono l’intervento di investigatori federali che non siano collegati alla struttura di potere locale. Un ramo molto oscuro del Dipartimento di Giustizia, allora noto come Bureau of Investigations, si occupò del caso” racconta Grann.
“L’FBI aveva giurisdizione sulle riserve degli Indiani d’America e talvolta impiegava un altro tipo di uomini di legge di frontiera, tra cui un certo Tom White (l’attore Jesse Plemons, ndr.). Uomini che lottavano per adattarsi al nuovo Bureau e alle nuove forme scientifiche di rilevamento, come le impronte digitali e l’analisi della scrittura. All’improvviso dovevano compilare documenti e indossare abiti e un borsalino - un momento prima andavano a cavallo indossando un cappello da eroe western - cose a cui nessuno di loro era abituato. Tom White è per molti versi come Mollie Burkhart, una figura di transizione in questo Paese”.
Nel suo faccia a faccia con i membri sopravvissuti della Nazione Osage - circa 4.000 persone vivono ancora nell’area - Grann vede riflessa la storia dell’America: “Quei crimini non sono affatto notizie del secolo scorso, ma di ieri. Discendenti sia degli assassini sia delle vittime abitano ancora nella stessa comunità. Fianco a fianco”.