PHOTO
KEVIN COSTNER as Hayes Ellison in New Line Cinema's Western drama "Horizon: An American Saga” Chapter One, a Warner Bros. Pictures release.
Il senso di Kevin per il western: Silverado, Wyatt Earp, la serie Yellowstone come attore, Balla coi lupi e Terra di confine anche da regista. E ora Horizon, il progetto più ambizioso della quarantennale carriera di Costner: quattro parti da tre ore l’una, la prima in sala dal 4 luglio e la seconda dal 15 agosto. “La mia idea – spiega il divo, che il prossimo anno compirà 70 anni – era non aspettare l’uscita del primo film per proseguire con gli altri. L’unico modo per raccontare questa storia è girarla nella sua completezza”. Percorrendo i quattro anni della Guerra Civile, dal 1861 al 1865, Horizon è un viaggio emotivo attraverso un Paese in guerra con se stesso attraverso il punto di vista di famiglie, amici e antagonisti che cercheranno di scoprire cosa significhi veramente essere ‘gli Stati Uniti d'America’.
“Lo sogno dal 1998 – rivela Costner, anche attore nel ruolo di un misterioso cowboy solitario – ma all’epoca lo immaginavo come film singolo. Quando ho capito di non poterlo fare, ho deciso di farne quattro. Credo sia una logica puramente americana. Ci sono voluti 106 giorni per realizzare Balla coi lupi, 111 per Wyatt Earp. Horizon l’abbiamo fatto in 52 giorni”. Il primo capitolo della saga inizia con la fondazione di una città: “Dimentichiamo sempre il principio delle grandi storie: perciò la prima immagine è un uomo che pianta un paletto in un terreno da cui escono formiche. Horizon è quella cosa lì: una metafora. Il West non era una terra alla Disneyland: era vero, si decideva tra la vita e morte”.
Più della celebrazione di un mito, c’è la sua ricognizione: “L’America, per come la conosciamo oggi, non è poi così vecchia in confronto al resto del mondo. I nativi vivevano in equilibrio e armonia finché persone provenienti da lontano, dall’Europa in particolare, hanno attraversato l’Atlantico per inseguire una promessa: per loro quella terra era una specie di Giardino dell’Eden. Qual era il problema? Che qui c’era già un popolo che stava prosperando da migliaia di anni. La nostra storia parla di questo conflitto”.
I nativi sono presenti in tutti i film: “Non puoi fare una storia del West senza di loro. Noi desideravamo una nuova vita ma li abbiamo sconvolti e non si sono mai ripresi. La guerra civile è stata unilaterale e ingiusta. Ora, io non fingo di essere un nativo, ma come faccio a ignorare l’evidenza? Per salvarsi la vita e proteggere lo stile di vita, la religione, le famiglie, i bambini, insomma tutto, i nativi sono stati costretti alla fuga. Non si può minimizzare: le nostre impronte digitali sono dappertutto”. Come uscirne? “Non dobbiamo provare imbarazzo o vergogna: il nostro compito è riconoscere la bellezza e la cultura di persone che vivevano in equilibrio e armonia prima del nostro arrivo. Prima che si piantasse quel paletto. Questa è la nostra storia”. E a testimonianza del pensiero dell’autore, un casting in nome dell’autenticità con gli interpreti nativi Tatanka Means, Owen Crow Shoe, Wase Chief.
Il western, com’è noto, è una grande passione di Costner (“I miei preferiti? L’uomo che uccise Liberty Valance per la scrittura, La conquista del West per aver acceso la mia immaginazione da bambino”), e in Horizon c’è spazio per omaggiare le donne che di solito non vengono associate al genere. A partire da Sienna Miller, madre di famiglia sopravvissuta con la figlia a un massacro: “Come si fa a raccontare la storia dell’America senza le donne? Kevin ha voluto riconoscere il loro contributo alla nascita di una nazione. Ho letto i diari delle donne che attraversarono l’Oregon: avevano a che fare con bambini piccoli, dovevano nutrire la famiglia, si affidavano completamente ai sogni dei mariti. Questi diari sono disponibili online, non aspettano altro che dei lettori”.
Abbey Lee interpreta una prostituta che entra per caso nella vita di Costner: “Il mio personaggio è costretto a prostituirsi perché non ha alcun diritto. Le sono negati i sogni, ma sa di averne benché schiacciati dalle circostanze. Perfino il corsetto, che non ti fa respirare, fa capire quanto quelle donne non fossero indipendenti. Kevin è un regista appassionato, un leader, in un certo senso è come se corresse a cavallo. Come attore, invece, è rilassato e gentile”.
Donne diverse, da Ella Hunt come colona britannica inadatta all’avventura (“Impersonarla è stata una sfida: è un po’ difficile da amare, schietta ma anche protettiva e gentile”) a Isabelle Fuhrman nel ruolo di una sorta di cowgirl (“Personaggio sbalorditivo, il suo viaggio nel West è un racconto di formazione: trova un posto nel mondo e deve confrontarsi con le paure”).
Nel cast anche Sam Worthington, Giovanni Ribisi, Jena Malone, Michael Rooker, Danny Huston, Luke Wilson, Jamie Campbell Bower. All’orizzonte, le riprese di terzo e quarto film più, rivela Costner, “una quinta storia che, forse un giorno, racconterò”: che, dopo cinque stagioni di Yellowstone, gli sia tornata finalmente la voglia di cinema? “Tutti amiamo guardare i film in una sala buia, siamo stati portati lì sin da bambini: è l’unico posto in cui i nostri genitori ci permettevano di andare da soli, per qualche ragione erano considerate sicure. È lì che abbiamo imparato a baciarci, a distinguere gli eroi dai codardi, a capire chi volevamo essere”.