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Jerzy Stuhr (foto di Stefano Micozzi)
“È la prima volta che vengo a Lecco, fa parte del mio processo di scoperta di questo Paese. C’è stato un periodo nella mia vita artistica, gli anni Settanta, in cui lavoravo soprattutto in Polonia. Poi è arrivata l’Italia. Non è facile esprimersi in una lingua che non è la propria quando si è sul set. Sul palcoscenico a “battezzarmi” è stato Mario Scaccia. In seguito il mio film Storie d’amore è andato alla Mostra di Venezia. E tutto è cambiato, ho conosciuto anche Moretti”, racconta Jerzy Stuhr alla quarta edizione del Lecco Film Fest.
“La carriera è iniziata con Kieślowski, è stato il primo a dirigermi. Ma ero già abbastanza maturo tra teatro e televisione. Kieślowski mi ha insegnato a essere, non a fingere. Sapeva come estrarre le emozioni vere, andando alla radice delle cose. Eravamo amici. Tutti si fidavano di lui, a volte si improvvisava”, aggiunge. A Lecco Stuhr presenta l’inedito Big Animal, dove è sia dietro che davanti la macchina da presa.
“Mi ha chiamato un produttore che, quasi per caso, aveva trovato un trattamento di cinque pagine di Kieślowski. L’ha scritto quando era ancora uno studente. Vista la nostra collaborazione, mi hanno incoraggiato ad andare avanti, seguendo il suo pensiero. Avevo fatto anche il ghostwriter per lui. Si tratta di una storia di tolleranza, dove ognuno ha diritto all’amore”. Big Animal si concentra su come reagiscono le persone se un giorno scoprono un rispettabile “vicino” a spasso con un cammello al posto di un cane. Passano dallo stupore all’ostilità, perché l’animale sporca le strade, e temono porti malattie. L’amministrazione pubblica pensa invece a come guadagnarci facendo pagare una tassa sull’animale.
Big Animal è uno sguardo sulla vita uniforme e codificata tipica di un certo regime politico, su come l’essere umano diventa intollerante davanti a tutto ciò che è diverso. È una parabola sul fare scelte considerate giuste dalla collettività, in una società spesso indifferente.
Stuhr, nato a Cracovia nel 1947, è uno degli attori più famosi del cinema polacco, conosciuto anche per la sua esperienza di regista teatrale e cinematografico, oltre che di sceneggiatore. Andrzej Wajda, Krzysztof Kieślowski e Krzysztof Zanussi lo hanno reso protagonista di molti dei loro film. Il primo a comprendere la bravura del giovane Jerzy Stuhr è stato Krzysztof Kieślowski. Con lui stringe un lungo sodalizio durante il quale gira capolavori come Il cineamatore nel 1979, Decalogo 10 nel 1989, Tre colori: film Bianco nel 1994. Con Zanussi recita in Da un paese lontano (1981), L’anno del sole quieto (1984), Vita per vita (1991), Persona non grata (2005). Al fianco di Wajda e Kieślowski affina l’arte della regia e, dietro la macchina da presa, nel 1997 vince a Venezia il premio Fipresci e altri riconoscimenti con Storie d’amore, che dedica a Kieślowski, morto l’anno precedente.
Nel 1998 ottiene il Nastro d’Argento Europeo dal Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici Italiani. Torna a Venezia nel 1999 con Sette giorni della vita di un uomo, indagando le contraddizioni umane, sempre sulle orme del suo maestro. Nel 2005 viene insignito del Premio Bresson durante la 62ma edizione della Mostra di Venezia. La dote naturale nel calarsi nei panni dei suoi personaggi lo rende un attore eclettico e versatile al cinema e in teatro. Una qualità che gli viene riconosciuta con l’incarico di Rettore dell’Accademia Nazionale del Teatro di Cracovia dal 1990 al 1996, dove insegna anche recitazione.
Stuhr ha un rapporto intenso anche con l’Italia e in particolare con Nanni Moretti, che lo ha voluto in Il caimano (2006), in Habemus papam (2011) e nel suo ultimo Il sol dell’avvenire. L’impronta del cinema di Moretti si trova anche nell’approccio autobiografico dei film di Stuhr, che ha ammesso di essere stato influenzato da Caro diario (1993).