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Deplhyn Seyrig in Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles
Davvero Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles è il miglior film di tutti i tempi? Questo emerge dal tradizionale sondaggio di Sight & Sound, la rivista del British Film Institute che, ogni dieci anni dal 1952, rilascia una top ten che ha l’obiettivo di offrire un canone storico e osservare l’evoluzione dell’opinione critica e la resistenza alla prova del tempo dei film. Tra le classifiche di questo genere è sicuramente la più autorevole e rispettata.
Nel 1952 trionfò Ladri di biciclette, scalzato già nel 1962 da Quarto potere, che ha dominato fino al 2012, quando è stato clamorosamente spodestato da La donna che visse due volte, scivolando al secondo posto. Dal 1992 alla top ten dei critici si è affiancata quella dei registi, che alle prime due uscite convergeva su Quarto potere per poi distinguersi nel 2012 quando ha segnalato Viaggio a Tokyo al primo posto. Da notare l’allargamento della platea elettorale: nel 2002 i critici contattati erano 145, nel 2012 sono diventati 846, nel 2022 ben 1639 tra critici, programmatori, curatori, archivisti e accademici.
Per quanto riguarda i registi, nel 1992 erano 101, nel 2012 sono saliti a 358, nel 2022 si è toccata quota 450. In quest’ultima top ten dei critici, il rapporto di forza tra i capolavori di Alfred Hitchcok e Orson Welles è rimasto invariato, solo che entrambi sono stati superati da Jeanne Dielman. Che, sembra banale ricordarlo, è un film di Chantal Akerman, regista belga che ha intrecciato la carriera con il movimento femminista, autrice di un cinema irriducibile, essenziale, intenso, politico. Dal canto loro, i registi hanno eletto miglior film di sempre 2001: Odissea nello spazio, che dieci anni fa si era posizionato al secondo posto: il caposaldo di Yasujirō Ozu è finito fuori dal podio, quarto, scalzato da Quarto potere (secondo) e Il padrino (terzo), ma superando Jeanne Dielman 23, che nella top ten dei registi si ferma in quinta posizione.
Osserviamo le classifiche delle ultime decadi:
2002
- Critici
- Quarto potere (1941) di Orson Welles
- La donna che visse due volte (1959) di Alfred Hitchcock
- La regola del gioco (1939) di Jean Renoir
- Il padrino (1972) e Il padrino – Parte II (1974) di Francis Ford Coppola (considerati insieme)
- Viaggio a Tokyo (1953) di Yasujirō Ozu
- 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick
- La corazzata Potëmkin (1925) di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn
Aurora (1927) di Friedrich Wilhelm Murnau - 8½ (1963) di Federico Fellini
- Cantando sotto la pioggia (1952) di Stanley Donen e Gene Kelly.
- Registi
- Quarto potere
- Il padrino e Il padrino – Parte II
- 8½
- Lawrence d’Arabia (1962) di David Lean
- Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1963) di Stanley Kubrick
- Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica
Toro scatenato (1980) di Martin Scorsese
La donna che visse due volte - Rashomon (1950) di Akira Kurosawa
La regola del gioco
I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa.
2012
- Critici
- La donna che visse due volte
- Quarto potere;
- Viaggio a Tokyo
- La regola del gioco
- Aurora
- 2001: Odissea nello spazio
- Sentieri selvaggi (1956) di John Ford
- L’uomo con la macchina da presa (1929) di Dziga Vertov
- La passione di Giovanna d’Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer
- 8½.
- Registi
- Viaggio a Tokyo
- 2001: Odissea nello spazio
- Quarto potere
- 8½
- Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese
- Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola
- Il padrino
- La donna che visse due volte
- Lo specchio (1975) di Andrej Tarkovskij
- Ladri di biciclette
2022
- Critici
- Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975) di Chantal Akerman
- La donna che visse due volte
- Quarto potere
- Viaggio a Tokyo
- In The Mood for Love (2000) di Wong Kar Wai
- 2001: Odissea nello spazio
- Beau Travail (1999) di Claire Denis
- Mulholland Drive (2001) di David Lynch
- L’uomo con la macchina da presa
- Cantando sotto la pioggia
- Registi
- 2001: Odissea nello spazio
- Quarto potere
- Il padrino
- Viaggio a Tokyo
Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles - La donna che visse due volte
8½ - Lo specchio
- Persona (1966) di Ingmar Bergman
- In The Mood for Love
Close-up (1990) di Abbas Kiarostami
Mai come quest’anno, la classifica dei critici è rivoluzionaria. Due punti di partenza: i votanti non esprimono una classifica ma una selezione di titoli e la classifica è il risultato di un calcolo aritmetico (da cui i frequentissimi ex-aequo); e l’aumento dei votanti ha sicuramente reso la platea più inclusiva e rappresentativa della comunità internazionale. Questo vuol dire che Jeanne Dielman è il film che ha ricevuto il maggior numero di citazioni tra i votanti. Ma è sorprendente non vedere tra i primi dieci alcuni maestri che hanno segnato la storia del cinema – e non solo – dal Novecento in poi.
Appaiono nei primi cento, certo, ma insomma, fa specie che nella top ten non ci siano un Chaplin (che manca addirittura dal 1952, quest’anno ha Tempi moderni al 78° posto e Luci della città al 36°), un Fellini (presente nel 1972, 1982, 2002, 2012: dal decimo posto 8½ è scivolato al 31°, superato addirittura da Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma!), un Buster Keaton (1972, 1982, ora è 95° con The General e 54° con Sherlock Jr.), un Renoir (sempre presente dal 1952 al 2012, ora La regola del gioco è finito al 13° posto), un Ford (1982, 1992, 2012, ora Sentieri selvaggi è scivolato al 15° posto).
Poi ci sono registi mai citati nelle top ten, assenti anche a questo giro nei primi dieci posti: Jean-Luc Godard (84° con Histoire(s) du Cinéma e Pierrot le fou, 54° con Il disprezzo, 38° con Fino all’ultimo respiro), Andrej Tarkovskij (67° con Andrei Rublev, 43° con Stalker e 31° con Lo specchio), Billy Wilder (78° con Viale del tramonto e 53° con L’appartamento), Martin Scorsese (63° con Quei bravi ragazzi e 29° con Taxi Driver), Fritz Lang (67° con Metropolis e 36° con M), Robert Bresson (95° con Un condannato a morte è fuggito e 25° con Au hasard Balthazar), Michael Powell e Emeric Pressburger (78° con Scala al paradiso e 67° con Scarpette rosse), Edward Yang (90° con Yi Yi e 78° con A Brighter Summer Day).
E se ormai, con l’eccezione di Vertov, i cineasti del muto sono completamente spariti (niente Ėjzenštejn, Murnau, Dreyer, non parliamo di Griffith), è altresì significativa la presenza di film degli ultimi trent’anni, con alcuni ancora viventi come Wong, Lynch, Denis. Se non fosse l’esito di un calcolo matematico, si potrebbe dire che rappresenta l’idea di un cinema vivo e non monumentalizzato: nei primi cento classificati, i film degli ultimi trent’anni sono sedici, nove quelli del terzo millennio; i film girati prima del 1950 sono solo diciannove, sette dei quali muti.
Ancora più interessante è la ripartizione geografica: trentasei gli americani, trentatré i francesi (coproduzioni comprese), quattrodici gli italiani (ma quelli a maggioranza tricolore sono solo C’era una volta il West 95°, Il Gattopardo 90°, Viaggio in Italia e L’avventura entrambi 72°, La dolce vita 60°, La battaglia di Algeri 45°, Ladri di biciclette 41° e 8½), tredici i giapponesi, sei i britannici e i tedeschi, cinque i sovietici. Due dal Senegal (La nera di… 95°, Touki Biki 66°), un indiano (Pather Pancali 55°), un iraniano (Close-up 17°). Nessun paese sudamericano. Due animazioni (entrambi di Hayao Miyazaki, niente Disney), due documentari (Shoah è 27°), due cortometraggi (compreso La jetée, 67°).
E poi le donne: due sono in top ten, Akerman (anche 52° con il doc sperimentale News from Home) e Denis, ma ci sono anche la già citata Sciamma, Agnés Varda (67° con La vita è un raccolto e 14° con Cléo dalle 5 alle 7), l’afroamericana Julie Dash (Daughters of the Dust 60°), Jane Campion (Lezioni di piano 50°), Barbara Loden (Wanda 48°), Věra Chytilová (Le margheritine 28°), Maya Deren (il corto d’avanguardia Meshes of the Afternoon 16°). Ecco, mai come quest’anno questa classifica rompe degli schemi consolidati e propone una storia del cinema alternativa a quella canonica.
E nella top 100 dei registi? In larga parte i titoli coincidono, il parterre è meno eterogeneo, ma ci sono autori completamente dimenticati dai critici, assenze spesso abbastanza clamorose se non imbarazzanti: Michael Haneke (Niente da nascondere 95°), Bernardo Bertolucci (Il conformista 93°), Sergej Iosifovič Paradžanov (Il colore del melograno 93°), Larissa Shepitko (L’ascesa 72°), Ken Loach (Kes 72°), Pier Paolo Pasolini (Salò 72°), Roman Polanski (Chinatown 72°), Steven Spielberg (Lo squalo 62°), David Lean (Lawrence d’Arabia 62°), Lucrecia Martel (La ciénaga 62°), Luis Buñuel (Viridiana 53°), John Cassavetes (Una moglie 19°). Quattro citazioni per Bergman e Bresson, tre per Fellini, Kubrick, Lynch, Scorsese e Tarkovskij. Nessuna, in entrambe le classifiche, per Woody Allen, Erich von Stroheim, Theo Angelopoulos, Robert Flaherty, Éric Rohmer, David Cronenberg, Terrence Malick, Quentin Tarantino.
Ma, infine, cosa ci resta, oltre a due lunghissime liste comunque utilissime al di là del gioco? Ci resta che quelli di Sight & Sound hanno promosso un lavoro incredibile, che forse farà storcere il naso ai puristi ma che, se ci discostiamo dall’etichetta dei “migliori film di sempre”, ci offre una mappa per orientarci in un panorama ricco di opere che finora non hanno avuto le luci della ribalta. Ci piace che una classifica del genere metta in piena luce un’autrice radicale che ispira generazioni di autori. E ci piace il fatto che stimoli anche qualche polemica, perché è innegabile che questo sondaggio rispecchi lo spirito del tempo, con le sue evidenti derive ideologiche e un certo relativismo storico.
Poi, è chiaro, ci sarebbe una domanda scomoda. Jeanne Dielman 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles è un film lungo 201 minuti, spesso citato nelle classifiche più sofisticate ma sostanzialmente oscuro al pubblico: chi l’ha visto, davvero?