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Jasmine Trinca e Viviana Mocciaro in L'arte della gioia
Archiviati i tempi in cui i nostri registi guardavano con certo disprezzo al mezzo televisivo - quell’apparecchietto, come lo chiamava Fellini, che ha cresciuto una valanga di “spettatori impazienti, indifferenti, distratti e vagamente razzisti” – oggi c’è la fila, anche tra i pezzi da novanta del nostro cinema, per accaparrarsi una fetta della grande torta del piccolo intrattenimento domestico. Del resto, si sa: il vento soffia dove vuole, i romantici vanno dove li porta il cuore e i cineasti dove ci sono i soldi. Il buon vecchio adagio Follow the money è stato il motore della platformization dell’industria dal secondo decennio del terzo millennio. La pandemia l’acceleratore. L’inglese è d’obbligo perché il movimento è stato impresso dai colossi dello streaming americano, ma il fenomeno non è mica solo anglofono.
Sorrentino con The Young Pope è stato il pioniere di un fenomeno molto italiano, con pochi eguali nel resto del mondo: l’autorializzazione del seriale. All’apice del quale troviamo il lavoro su Aldo Moro di Marco Bellocchio, Esterno notte, dove la mimetizzazione dei codici filmici nel corpo dello storytelling televisivo è talmente sofisticata che la serie ha avuto una distribuzione in sala prima dell’approdo in tv (dove comunque ha fatto 3 milioni di spettatori contro i poco più di 700 mila euro d’incasso) e da avere spiazzato pure l’Accademia dei David di Donatello, che l’ha candidata tra i migliori film.
Così, mentre nel resto del mondo il paradigma della serialità, con il primato dell’intreccio e dell’immagine senza profondità, imponeva la sua organizzazione del lavoro e le sue regole sull’idea romantica dell’autore e il combinato disposto di originalità, poetiche personali e stile (che, nella vulgata dello streaming, da contenuto organico all’opera diventa segno del contenitore), in Italia l’autore si fa avanguardia di una controriforma che si fa beffe ancora una volta del modello fordista applicato all’audiovisivo per trasformarlo dall’interno. È il paradigma Twin Peaks, per intenderci, più che HBO. Ovvero una forma di contaminazione radicale tra politiche di sguardo e format seriali, che finisce per privilegiare la libera reinvenzione dei codici contro l’ortodossia alle regole del racconto. La cosa sorprendente è che, se nel resto del mondo si tratta di esperimenti tutto sommato estemporanei, in Italia il modello rischia di diventare dominante.
A fronte di eccellenze televisive come Breaking Bad, Game of Thrones e più di recente Succession che hanno sì alzato l’asticella della produzione seriale ma senza rinnegarne i principi, da noi siamo costretti ancora a citare Gomorra (e l’omologo per teenager Mare fuori) e L’amica geniale per ritrovare degli analoghi (non a caso con quota di partecipazione di HBO). In mezzo una marea di prodotti che strizzano l’occhio al serial medio americano (con punte come Lidia Poët e The Bad Guy), foraggiati da piattaforme a cui si impone un investimento minimo sui territori in cui operano, emerge sempre di più la politica degli autori sulla serialità tv (che ha prodotto anche qualche interessante passaggio inverso, di showrunner come Sollima al cinema, altra significativa differenza con gli steccati che reggono nel sistema americano, dove il salto della quaglia finora è riuscito solo a J.J. Abrams).
E così non c’è da stupirsi se persino il contegnoso sindacato dei critici italiani elegge una serie come Dostoevskij dei Fratelli D’Innocenzo – con cui apriamo questo lungo speciale – a “film della critica 2024” e se i grandi festival internazionali ormai fanno a botte per accaparrarsi le ultime sortite seriali dei registi più quotati – Dostoevskij era a Berlino, L’arte della gioia di Valeria Golino a Cannes, a Venezia si parla di M. di Joe Wright (tutte e tre produzioni originali Sky). Questa rivincita del cinema sul televisivo è un primato tutto italiano e ha sicuramente degli aspetti positivi se alzerà il livello qualitativo della nostra produzione seriale. Sarà invece deleteria se contribuirà ad affossare il potenziale di un segmento creativo ancora troppo timido e ancorato al modello di scrittura e sviluppo di Rai Fiction.