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L’ultima volta era accaduto nel 2007 e tutti lo ricordano come il Writers Strike. Due giorni fa, quando gli sceneggiatori hanno scelto di scioperare, chiunque ha ripensato a quel momento storico. Tuttavia, oggi, anno 2023, la situazione è completamente diversa, gli attori protagonisti sono cambiati e ne sono entrati di nuovi in scena. Serie televisive, talk e late show rischiano di dover bloccare la produzione. Tra contratti, residuals e intelligenza artificiale, negli ultimi giorni si è fatta un po’ confusione. Abbiamo cercato di farci spiegare meglio la situazione e le ragioni dello sciopero da Giorgio Glaviano, presidente di Writers Guild Italia.
LE GILDE DEGLI SCENEGGIATORI
Negli Stati Uniti il sindacato degli autori si divide in Writers Guild of America West (WGAW) e Writers Guild of America East (WGAE), la prima legata ad Hollywood, quindi al cinema e alla televisione, la seconda rappresenta le tv e le produzioni attive a New York. Le due organizzazioni sono molto ricche: «LaWriters Guild of America è diversa rispetto alla sua consorella italiana perché si occupa anche della raccolta del diritto d’autore. È come se comprendesse al proprio interno la SIAE» spiega Glaviano. La funzione principale di una Writers Guild resta comunque il supporto e la difesa dei diritti degli sceneggiatori, «che in Italia vengono sempre confusi con gli scenografi, non si sa per quale motivo». Negli ultimi anni la figura dello sceneggiatore, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo, soprattutto con l’aumentare della produzione di serie tv, è diventata sempre più centrale: «I numeri aggiornati dicono che negli USA gli autori attivi sono 11.500. In Italia siamo intorno ai 600, ma il dato va ovviamente contestualizzato sulla base dei volumi di forza lavoro. La torta produttiva americana è molto più ampia di quella del nostro Paese». Giorgio Glaviano, da presidente della Writers Guild italiana, ci tiene a precisare il ruolo fondamentale che svolge il sindacato. Una delle ultime iniziative è stata la collaborazione con 100 Autori, un’altra organizzazione sindacale che al proprio interno comprende anche i registi. Una campagna di doppio tesseramento per salvaguardare la categoria che sta vivendo un progressivo depauperamento: «Cerchiamo di aiutare la parte debole che è sempre quella della scrittura, anche se nella realtà dei fatti è l’attività primigenia, quella che dà l'avvio a tutta la filiera del mercato. Perché è dalle idee che poi si arriva alla costruzione di un film, dal cast di attori fino alla fotografia». Se la Gilda italiana da un lato non ha lo stesso potere a livello di diritti d’autore rispetto all’omologa statunitense, dall’altro tenta di creare rete e di controllare che le contrattazioni siano regolari. «Mettiamo in comunicazione i due rami del mercato e cerchiamo di validare i contest nazionali, le scuole di scrittura e i bandi. Interagendo con chi li ha organizzati, verifichiamo se sono rispettate le condizioni minime. Su tutto prevale sempre il discorso della paternità dell'opera. Cerchiamo anche di essere presenti a tutti i vari tavoli di contrattazione a livello nazionale, regionale e di film commission. Interagiamo con l'Associazione dei produttori Anica, con quella degli attori e con le altre gilde europee per cercare di armonizzare il trattamento degli operatori. Sempre più spesso capita infatti che gli sceneggiatori siano all'interno di squadre di scrittura internazionali» racconta Giorgio.
LO SCIOPERO AMERICANO TRA RESIDUALS E PIATTAFORME
Partiamo dalla base: l’origine dello sciopero è il mancato accordo tra WGAW e l’AMPTP, ovvero l’Alleanza dei produttori cinematografici e televisivi. Negli Stati Uniti esiste un contratto collettivo degli autori che viene rinnovato ogni tre anni. La ragione principale della discordia riguarda i compensi e, rispetto a dodici anni fa, la situazione degli sceneggiatori americani è ancora più in bilico. Il motivo è insito nei picchetti davanti alla sede di Netflix a Los Angeles e di fronte agli studios di New York. Le case di produzione streaming hanno stravolto il mercato e il cambiamento più drastico ha riguardato i residuals, termine traducibile in italiano con “guadagni residuali”. Cosa sono di preciso? «Bisogna partire dal presupposto che negli USA le emittenti non detengono le stazioni come in Italia. Le stazioni sono comunitarie. Per questo un’emittente qualsiasi (FOX, abc ecc.) crea dei flussi di programmi, di solito da otto ore, che vengono trasmessi e rivenduti. Lo sceneggiatore viene pagato alla messa in onda e alla vendita, questo vuol dire che ogni volta che la puntata che ha scritto viene ceduta e trasmessa in un’altra emittente locale, o addirittura all’estero, l’autore guadagna una percentuale sia dalla cessione, sia che per il diritto d’autore» spiega Glaviano. Secondo i dati della WGAW, ogni sceneggiatore americano in media percepisce tra i 25mila e i 30mila dollari di residuals: un guadagno sul diritto d’autore, frutto del suo ingegno e del successo dell’opera che ha ideato. Con l’avvento delle piattaforme streaming questo meccanismo è entrato in crisi: «Il passaggio della vendita da emittente a emittente non c'è più. Il prodotto va in onda per Netflix o Amazon Prime che sono dei walled gardens, ovvero dei giardini recintati che lo rendono disponibile in contemporanea in 190 Paesi, per citare Moretti. Da ciò lo sceneggiatore non guadagna nulla. Si è passati da 25 mila dollari di residuals di media a 8 dollari». Il guadagno residuale non esiste più nemmeno dal puto di vista del diritto d’autore perché bisognerebbe conoscere la quantità di visualizzazioni, un segreto industriale che appartiene alle piattaforme e che le stesse non vogliono condividere per non dare vantaggi alle concorrenti: «In questo caso lo sceneggiatore ha perso completamente il controllo, non conosce più i numeri della sua opera. Per questo gli sceneggiatori vorrebbero la creazione di un organismo autonomo, un po’ come l'Auditel - per loro potrebbe essere Nielsen – che garantisca loro residuals in base al successo e alle visualizzazioni del prodotto».
LA QUESTIONE IA
«Mi ricordo una frase che mi disse una volta Damon Lindelof (Lost) quando lo intervistai: chiunque ti sa dire se un panino fa schifo o no, ma pochi conoscono la ricetta del panino buono». Giorgio Glaviano spiega così il peso dell’intelligenza artificiale nel mondo del cinema e della televisione. Molti hanno scritto di uno sciopero dettato dalla paura di essere sostituiti dalla macchina ma, secondo il presidente di WG Italia, l’IA è una questione secondaria. «Gli sceneggiatori americani non sono stupidi e conoscono bene il valore del loro lavoro. L’intelligenza artificiale lavora per associazione di idee preesistenti. Noi l’abbiamo anche testata inserendo dei prompt per cercare di capire se la macchina fosse in grado di ricreare trame di serie esistenti: abbiamo provato con Grey's Anatomy. Beh, è molto faticoso farlo, nel senso che la macchina possiede le strutture generali che noi utilizziamo nella scrittura, ma è molto ingenua e favolistica. Basica direi. Per questo l’unico suo utilizzo potrebbe essere quello di staff writer: io propongo le mie idee, le butto dentro e l’IA mi dà risposte e ricombinazioni». Secondo Giorgio Glaviano, un altro aspetto da non sottovalutare è il fatto che in America le produzioni sono macchine da 100 milioni di dollari. Tant'è che in media uno showrunner professionista negli Stati Uniti ha 50 anni, quindi con almeno 20-30 anni di esperienza alle spalle. Chi metterebbe in mano all’IA una macchina del genere?
COME ANDRÀ A FINIRE?
Al momento tutti restano fermi nelle loro posizioni e lo sciopero si sta allargando anche ai registi. Molti show rischiano la sospensione. In un momento di crisi come questo per i produttori è un bel guaio. Le case streaming dal canto loro non sembrano voler fare un passo indietro, d’altronde potrebbero benissimo rivolgersi agli sceneggiatori dei restanti 189 Paesi (ancora Nanni Moretti). Basti pensare che Netflix sta investendo circa 2 miliardi e mezzo in Corea del Sud. «Noi stiamo tentando di supportare i colleghi americani e come Writers Guild Italia non appoggeremo questa linea. Non vogliamo una lotta fratricida, perché se quei diritti vengono persi, sono persi per sempre». Giorgio Glaviano è fermo nella sua posizione e nel rivendicare le proprie ragioni fa riferimento alla sua città d’origine: «L’epigrafe del Teatro Massimo di Palermo recita: L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. È questo è il nostro obiettivo. Ognuno, raccontando il proprio angolo di mondo, può rivelare la vita e rinnovarla».