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Pedro Armocida, direttore della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 59 (credits: Luigi Angelucci)
Dal 17 al 24 giugno 2023 torna la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, giunta alla sua 59esima edizione, realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, del Comune di Pesaro e della Regione Marche. Sette giorni di proiezioni nel capoluogo marchigiano tra restauri, retrospettive, sperimentazioni, film in concorso e nuovi linguaggi. Alla guida confermato Pedro Armocida.
Direttore, che Mostra sarà?
«La peculiarità è nel nome: “Nuovo cinema”. Un cinema che non è più quello degli anni Sessanta quando nacque la rassegna, ma che dà spazio a nuove forme di linguaggio che possono stare accanto a quelle antiche. Presenteremo, per esempio, molti lavori girati in Super 8 o in 16 mm, perché, paradossalmente, la novità del cinema può essere proprio la pellicola. Proietteremo anche opere girate in 35 mm, un tipo di visione che si può fare solo a Pesaro. Il Festival è una sonda su formati diversi ma che sono anche i formati di durata, perché il concorso è aperto a tutti, a tutti i tipi di lavori. C’è una sezione più sperimentale, più altri focus su due registi che lavorano in pellicola come Nashashibi e Milena Gierke. Inoltre, ci saranno le Lezioni di storia di Federico Rossin su un cinema sperimentale mai visto da noi e prodotto negli anni della Guerra Fredda, oltre cortina di Ferro».
Un festival che dà grande spazio alle sperimentazioni, ma anche a generi più noti al pubblico.
«C’è un filone popolare più evidente rappresentato dalla retrospettiva ai film di Giuseppe Tornatore. E poi con le proiezioni a Piazza del Popolo dove si gioca con il pubblico più ampio: l’apertura sarà con Flashdance, mentre l’anno scorso abbiamo proiettato E.T. l’extraterrestre, prima ancora Lo squalo. Come si intuisce, l’idea di nuovo cinema può avere un accezione molto ampia. In piazza avremo anche tre incontri molto importanti. Tornatore, come detto, il premio Oscar Dante Ferretti e Carlo Verdone di cui proietteremo Borotalco che recentemente ha compiuto quarant’anni: il primo film in cui Verdone fa un ruolo a tutto tondo. Ma in mezzo ci sono anche due interessanti documentari: Cocoricò tapes firmato da Francesco Tavella su un certo modo di raccontare anni Novanta nella riviera adriatica: spesso ci si spostava verso Rimini e Riccione per divertirsi, dunque, il Cocoricò accoglieva un pubblico vastissimo, geografico. E poi Bellezza, addio di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese che avevamo già ospitato con il doc Il caso Braibanti, che poi ispirò il film di Amelio (Il signore delle formiche, ndr). Questo nuovo lavoro è un percorso nella poesia di un grande autore del Novecento, con la voce di alcuni intellettuali spesso dimenticati come Alberto Moravia o Anna Maria Ortese: testimonianze che possono essere importanti per i più giovani. Insomma, è un Festival dalle tante anime che si incontrano e dialogano».
C’è un filo rosso che le lega?
«Gli artisti che mostreranno i loro lavori non sono legati tra loro, ma la sperimentazione con l’uso di formati diversi della pellicola è un filo rosso che li accomuna. Per il resto ci siamo dati ampia libertà per poter intercettare dei momenti di cinema che altrimenti non potrebbero essere visti, come cortometraggi più lunghi della durata ammessa nei festival specifici, che arrivano a 33 o 37 minuti. Un altro filo rosso è la Piazza: ospiterà il meglio del cinema italiano, senza dimenticare una forte vocazione internazionale. In più, prima delle proiezioni, ci sarà un videoclip scelta dalla comunità social e da un comitato, a cui sarà assegnato anche un premio della giuria. Vedere un videoclip su grande schermo è un’esperienza che si può fare solo a un festival».
Un anno fa su questa rivista, riguardo alla sua esperienza da direttore, hai dichiarato: “Un periodo lungo può dare la possibilità di mettere in scena un’idea di cinema”. Che idea di cinema ha messo in scena, allora, Pedro Armocida per Pesaro?
«Un cinema non allineato ai sistemi di produzione industriale più grandi. Il tentativo è sempre lavorare sul DNA del festival, su un cinema nuovo, ma con un’idea di cinema plurale, aperta, inclusiva. L’idea è che non esista un solo cinema, ma che Adrian Lyne, Tornatore e gli sperimentalisti argentini stiano insieme».
Dalle anticipazioni del programma, si nota anche una certa sensibilità per i lavori di cineaste donne.
«Sì, ma è un discorso che abbiamo portato avanti sempre sottotraccia. Secondo me, se ognuno fa la sua parte tra programmatori di festival, direttori d’azienda, o in qualsiasi settore si operi, senza rispondere per forza alle quote rosa, ma ponendo attenzione alla qualità e parità, il resto viene da sé. Due anni fa abbiamo dedicato un focus a Liliana Cavani, una regista donna. Non era mai successo nella storia del festival. Sono contento che quest’anno Venezia si sia ricordata di dargli un Leone d’Oro alla carriera. Nella giuria, poi, due componenti su tre sono donne. È una attenzione non ricercata di proposito, ma in silenzio, sottotraccia, e quando si congiunge con la qualità, siamo felici di valorizzarla».
Ieri Cavani e Martone, oggi Tornatore. Pesaro continua a omaggiare il cinema italiano contemporaneo.
«Tre anni fa ci fu anche la retrospettiva dedicata a Montaldo. Poi abbiamo pensato fosse bello passare a generazioni più giovani, anche nell’ottica di dargli nuova linfa. Nel 2005 per la retrospettiva fu scelto Marco Bellocchio, che da quel momento in poi ha fatto tantissimi film.
Ma se Martone sembrerebbe più affine a un’idea di Nuovo Cinema, Tornatore è un autore a tutti gli effetti. Per lui il cinema è più grande della vita, come per Bertolucci: due autori con un’idea di cinema veramente grande, che hanno faticato a realizzare anche i progetti più mastodontici, ma hanno sempre avuto in mente come obiettivo finale il cinema su grande schermo».
A proposito di cinema come grande schermo. Questa ibridazione tra passato e futuro, tra tradizione e sperimentazione di Pesaro può rappresentare il rilancio della sala?
«Pesaro non è Torino, Venezia o altri festival, ma il sistema festival in sé è molto eterogeneo. La Mostra negli anni ha creato un suo pubblico che sa che può vedere quel film solo in quel momento, magari in riva al mare, perché lo presenta il grande regista o il grande artista. I festival hanno un alto grado di fidelizzazione, più alto di quello che si percepisce. Poi non è automatico che gli spettatori tornino in sala. Anche perché, durante la pandemia, i cinema sono stati veicolati spesso come luoghi di facile contagio. Per cui ci sono delle difficoltà a tornare al cinema. Ma è chiaro che noi viviamo in un’eccezione: il pubblico italiano è molto diverso da quello degli altri paesi. In Italia la ripresa molto lenta. Credo, però, che tutte le iniziative, i festival possono dare una grande mano».
In attesa del programma definitivo, ci lasci un’anticipazione delle anticipazioni?
«Te ne do quattro. Per quattro serate, a mezzanotte, in un chiostro si terranno quattro concerti di musica su cui saranno poi proiettate delle immagini. I nomi dei musicisti magari sono un po’ misteriosi – Obelisco Nero e Vittorio Ondedei, Pivio, Giacomo Laser, Salvatore Insana e Silvia Cignoli - ma sono quattro eventi che non si possono vedere né sentire da nessun altra parte».