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Palazzina Laf - Foto Maurizio Greco
"Questo è un film politico, ideologico, sicuramente di parte, ma racconta fatti veri, successi realmente, anche se possono sembrare incredibili”.
Michele Riondino arriva alla XVIII Festa del Cinema di Roma per presentare Palazzina Laf. Il film, prodotto da Palomar, Rai Cinema e Bim con Apulia Film Commission e in sala dal 30 novembre, lo vede alla regia per raccontare lo scandalo che coinvolse proprietari e dirigenti dell’ex Ilva di Taranto, quando decisero, tra il 1997 e il 1998, di confinare dentro la palazzina adiacente la fabbrica gli impiegati che si erano opposti al declassamento e al trasferimento in altri comparti.
“Tutto quello che è successo all’interno dell’ex Ilva e in generale nelle aziende d’Italia non è di dominio pubblico. -spiega il regista - Negli anni ho maturato l’idea di raccontare una storia che restituisse la gravità e la complessità della vertenza tarantina.Ho cominciato a sentire dagli operai che i dirigenti collocavano queste persone ‘lavativi’ chiusi in una struttura senza fare niente, e che meritavano una punizione perché erano dei privilegiati. Poi ho cercato questi lavoratori e mi sono imbattuto in un libro di Claudio Virtù, confinato anche lui, edito in pochissime copie".
Da qui, una lunga preparazione fatta di ricerche, interviste ai testimoni e documentazioni per svuotare “la storia di ogni retorica. Di certo è stato molto stimolante inserire dentro eventi accaduti quasi vent’anni fa, altri che potessero richiamare i giorni d’oggi. Ho voluto disseminare elementi nel film che alludevano a cosa sarebbe successo a Taranto anni dopo, come per esempio la morte della pecora, la scritta Ilva is a killer, o il fatto che il giudice fosse una donna, omaggio al giudice Todisco che sequestro l’impianto quei giorni”.
Se si parla di questione operaria, di cinema politico subito sovviene Elio Petri. Riondino si dice lusingato dal paragone, ma specifica: "La classe operaia va in paradiso, Pane e cioccolata, Compagni e Fantozzi sono stati i riferimenti per disegnare i personaggi, per proporre un’idea di maschera agli attori. Fantozzi, però, viene fuori dallo scambio con i lavoratori, come Giuseppe: lui stesso è ricorso al personaggio di Villaggio per raccontare la sua esperienza nella palazzina LAF. Il paradosso di certe storie, il poter ridere di certe gag è una chiave di analisi interessantissima”.
Non solo cinema, alla radice del film, spiega il co-autore della sceneggiatura Maurizio Braucci, "c’è Cuore di Cane, il romanzo di Bulgakov con un protagonista tenuto al guinzaglio come un cane: lui vorrebbe dare la caccia ai braccati, ma anche essere loro amico”. Volevamo lavorare “sul tema del confino, su un personaggio visto come spia, – spiega Braucci – ma che vuole diventare parte di quel mondo. Caterino è un metalmezzadro, o un ‘turbomezzadro’ che proviene da una cultura contadina in un contesto ormai metalmeccanico”.
Per Braucci, però, il personaggio incarnato da Riondino - “l’unico elemento decontestualizzato e inventato” assicura il regista - ricalca anche “lo spirito culturalmente fascista di tanti italiani. Quel voler tirare a campare, chiudere gli occhi davanti alle contraddizioni e alle giustizie. Simboleggia il fatto che in nome della famiglia, si consente di fare soprusi verso i deboli”.
Nel cast anche la pugliese Vanessa Scalera, anche lei come il regista sensibile da sempre alle contraddizioni della sua terra: “Sono andata via dalla Puglia nel 1996, ma vivo nel brindisino. Ho avuto famigliari e amici lì, mio nonno lavorava lì. Questa è la prima volta che scelgo una storia in base a parametri etici. Faccio un piccolo ruolo, ma non importa, dovevo assolutamente farlo: questo film era una chiamata alle armi”.
Poi spazio anche alle testimonianze di chi l’ingiustizia l’ha subita sulla sua pelle, come Giuseppe Palma, ex tecnico specializzato e confinato per anni nella Palazzina: “Per me è importante questo film perché pochissimi conoscono quei fatti. Molti pensano che non volevamo lavorare. In trent’anni di servizio ho fatto due mesi di malattia, eravamo schiacciati da un’azienda che voleva aumentare gli introiti ed eliminare il sindacato perché si ribellava e protestava. L’azienda sceglieva un caporeparto da mandare alla palazzina per ogni settore. Hanno scelto noi tecnici specializzati, per intimidire tutti gli altri dodicimila operai che, infatti, in pochi mesi si sono sottomessi alle direttive”.
Il cantautore Diodato, invece, ha voluto donare all’amico regista la canzone La mia terra: “Avrei partecipato con qualsiasi ruolo, senza leggere la sceneggiatura. Avrei dato a Michele (Riondino ndr) una mia canzone ad occhi chiusi. Adesso avendo visto il film, sono ancora più contento: è un’opera sorprendente, so quanto si accende lui quando si parla della questione tarantina. Mi ha sorpreso notare un richiamo a film importanti, ma c’è qualcosa di fresco e spiazzante che solo lui poteva tirare fuori”.