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Matteo Garrone (foto di Karen Di Paola)
(Cinematografo.it/Adnkronos) – La speranza è che "i miei attori possano continuare a fare questo lavoro, a recitare dove vogliono, in Italia, in Francia, dove arriveranno le offerte migliori". Nel frattempo tre dei protagonisti di Io capitano, il film designato dall'Italia per la corsa all'Oscar da un anno hanno trovato ospitalità a Fregene, dalla madre del regista Matteo Garrone. "Mia mamma è felicissima di averli, da lei stanno i due protagonisti e un amico loro, che aveva una piccola parte nel film", assicura lo stesso Garrone in un lungo colloquio con l'AdnKronos, raccontando un quasi sequel 'reale' del suo film, Leone d'argento a Venezia.
La pellicola racconta la storia di un viaggio di due cugini 16enni, Seydou e Moussa, migranti dal Senegal alle coste siciliane, dopo una odissea tra il deserto del Sahara e i lager libici, i due giovani sono interpretati sul grande schermo da Seydou Sarr e Moustapha Fall, due attori che parlano wolof, la lingua di quel paese e ora sono ospitati nella casa di famiglia del regista, alle porte di Roma.
Garrone ride: "Ho chiamato mia mamma e le ho detto che si aggiungeva pure un'altra persona, una donna del film che mi aveva detto che non sapeva dove andare...". "Moustapha è campione di TikTok, lui in giardino fa i suoi balletti, mia madre si diletta a fare i solitari con le carte, stanno bene insieme", racconta il 55enne cineasta. Intanto Garrone gira l'Italia per presentare il film, in attesa di volare negli Stati Uniti, tra poche settimane, dove inizia la corsa all'Oscar.
"Quella che ho raccontato è un'avventura, c'è molta azione. Ma è un film di formazione, perché il protagonista parte ragazzo e arriva uomo. La vicenda reale da cui parto mi ricorda i grandi romanzi di mare, di Stevenson, di Conrad, di Jack London. E io non ho voluto tradire il racconto che mi hanno fatto", sottolinea il regista di Gomorra. Le riprese, sono partite da Dakar, in Senegal, poi la troupe ha girato soprattutto in Marocco, ricostruendo lì l'inferno del deserto e dei lager libici. "Dakar -spiega il regista di Gomorra- è un po' come l'Italia degli anni '50, prima del boom economico, un'Italia dove c'era ancora povertà, ma forte era il senso della famiglia e dei legami e c'era una grande carica vitale".
"Non lasciano un luogo di disperazione, non per forza si scappa dalla guerra, magari si inseguono anche sogni e desideri che poi vengono negati", aggiunge, facendo riferimento a un "sentimento che abbiamo avuto anche tutti noi, al diritto alla libertà". Il film si ferma di fronte alle coste di Lampedusa, con i 250 migranti ormai in salvo, grazie al 'Capitano', dopo un peregrinare tra violenze inimmaginabili ("violenze che racconto con gli occhi di Saydou, senza indugiare in scene che non sono rappresentabili, come quelle che mi hanno raccontato", sottolinea il cineasta).
"Io -spiega Garrone- volevo far conoscere quello che succede prima dello sbarco in Europa, il viaggio nel deserto e le violenze. Cosa capita poi in Italia, in Europa, in Germania, in Francia, potrebbe essere materia per un altro film, ma io cambio spesso dimensione, per questo film ho lavorato tre anni...", dice ancora tirando il fiato, in vista di prossimi ciak e appuntamenti importanti, che non sono solo l'Oscar. "Vediamo intanto anche che accoglienza avrà il film in Africa, dove sta per uscire, per esempio a metà dicembre in Senegal, vedremo come reagiranno i ragazzi di quel posto, magari il film sarà di aiuto come monito a non correre quei rischi estremi, anche se in realtà non credo che si fermeranno davanti a queste immagini...", è la sua convinzione.
"Dopo avere salvato 250 persone questo 16enne di cui racconto la storia è finito in carcere -dice il regista riprendendo il filo della trama reale da cui si è ispirato- ha fatto sei mesi di galera. Sono tanti i finti scafisti finiti in carcere, ma spesso si cercano capri espiatori, mentre i veri trafficanti di essere umani non rischiano la vita su quei barconi che facilmente colano a picco". Matteo Garrone racconta una vicenda che definisce "la nuova epica contemporanea, la nuova Odissea, una viaggio da eroi, persone che noi dovremmo accogliere come tali, applaudendoli e con la musica, perché è davvero qualcosa di eroico essere riusciti nell'impresa".
Ma il suo punto di vista, spiega, è quello di chi "punta la macchina da presa dall'Africa verso l'Italia". Una narrazione che nessuno deve strumentalizzare. La pellicola l'ha voluta vedere Papa Francesco: "E' stata una cosa nata dal fatto che il cardinal Zuppi ha visto il film prima che uscisse, e lo ha amato molto, poi anche il cardinal Mendoza, a capo della Cultura in Vaticano ha voluto vederlo, loro ne hanno parlato al pontefice, e papa Francesco ha deciso di suo di fare una proiezione in Vaticano, quindi è una cosa che nasce da loro".
"Il Papa -continua Garrone- è sempre stato molto sensibile a queste tematiche, è sempre stato dalla parte dei migranti, ci ha accolti e ha guardato il film, anche per questo penso sia stato più facile non essere strumentalizzati". "Ora comunque il film è candidato all'Oscar per l'Italia", conclude il regista sottolineando che la pellicola a Los Angeles rappresenterà tutto il nostro cinema e anche il nostro paese.