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Luca Argentero ne La coda del diavolo. Ph credit Francesca Ardau
Luca Argentero nell’immaginario collettivo è una figura rassicurante. Ancora di più dopo il grande successo di Doc - Nelle tue mani , serie in cui interpreta un medico geniale. Ebbene, con La coda del diavolo, film di Domenico de Feudis tratto dall’omonimo romanzo di Maurizio Maggi, ribalta completamente questa percezione che abbiamo di lui. Stanco, sporco, appesantito, senza un briciolo di speranza: il suo Sante Moras cancella l’Argentero che tutti conosciamo. Basti pensare che non ride mai: e il sorriso è uno dei punti di forza dell’attore.
La nostra intervista video a Luca Argentero
Su Sky Cinema e in streaming su NOW dal 25 novembre, il film ruota attorno a una fuga: incastrato da figure influenti che avevano bisogno di un colpevole, Moras, guardia carceraria, si nasconde nei boschi della Sardegna. Anche l’isola, come l’interprete, qui è mostrata con uno spettro di colori completamente opposto a quello che ci immaginiamo di solito. È cupa, quasi funerea.
Argentero è stato però felice di accettare questo ruolo, anche perché gli autori lo hanno lusingato: “Sono stato coinvolto dai produttori molto presto: prima che venisse scritta la sceneggiatura. Ho letto quindi il romanzo. Esaurire un libro così denso in 90 minuti è stato una sfida: in un momento di serie poi! Il film è intrattenimento allo stato puro, è divertente. È un ruolo a cui non sono abituato ed è proprio lì che si trovano degli stimoli. Una cosa così specifica mi è capitata poche volte. Scegliere un ruolo in cui non sorrido mai poi non mi era mai successo: questo film ha una sua cupezza particolare”.
La trasformazione fisica di Luca Argentero
Per La coda del diavolo l’attore ha dovuto sottoporsi a diverse ore di trucco: “I fatti del film accadono in pochi giorni: il mio personaggio riceve talmente tante botte, sia dal bosco che dai nemici di turno, che in ogni scena ho una diversa gradazione di sangue, lividi, contusioni. E di conseguenza anche la postura deve adeguarsi. Da attore è fantastico. Così come provare la coreografia del combattimento finale, che è stato tutto storyboardato. Quando abbiamo girato il film, poi, pesavo quindici chili più di adesso: sia perché adesso sto girando una cosa che ha richiesto una perdita di peso, sia perché ero più appesantito. Non capisco mai se la mia vita si adatta ai miei ruoli o viceversa”.
Come ha trovato questa cupezza? “Non sono entrato in una parte sopita e di sofferenza della mia vita: anche perché ho dei bambini piccoli, sono in stato di grazia! Forse semplicemente ho recitato. Non ho chiesto consigli: la lettura del libro è stata fondamentale. È molto più articolato, c’è più backstory”.
È spaventato dall’idea di mostrare al pubblico questo lato così diverso? “È più facile vendere una cosa che funziona: il lato empatico del mio carattere mi ha portato a fare spesso ruoli rassicuranti, come quello in Doc, a cui ho dedicato gli ultimi cinque anni della mia vita. Per questo ringrazio i produttori per avermi offerto un ruolo che non era detto che potesse funzionare”.
Quindi si candida ufficialmente a diventare il John Wick italiano? “Eh, magari! O Liam Neeson. Uno che sono vent’anni che scappa. E che rincorre per menare. Qui sono più inseguito che non inseguitore. Ma è talmente raro che nel nostro cinema arrivi questo tipo di ruoli, che sono molto felice di aggiungere questo tassello al mio percorso. In questo caso però, più che essere felice di menare, sono felice di essere menato: passo più tempo acciaccato che non ad acciaccare. Ma anche quello è particolarmente divertente: la preparazione, lo studio della coreografia. Il lavoro sul trucco, sulla postura. Non avendo tante parole da dire in questo film utilizzo il corpo come strumento. È stato particolarmente interessante”.