Tra i migliori film italiani del 2021 c’è di sicuro Ariaferma di Leonardo Di Costanzo. Racconta di un carcere che deve essere chiuso, del rapporto tra dodici detenuti e gli agenti che sono rimasti a sorvegliarli. Alla quinta edizione del Lecco Film Fest, il regista parla di quell’esperienza, di come anche la realtà lecchese abbia contribuito a far nascere Ariaferma. “Mentre scrivevo la sceneggiatura sono stato anche nel carcere di Lecco. È proprio qui che ho capito come doveva essere il film. Sono tornato a casa con le idee più chiare”, spiega Di Costanzo.

Che cosa l’ha aiutata?
Il dialogo, l’ascolto, il sostegno che ho ricevuto a Lecco. Sono stati gentili, accoglienti. Da qui sono nati anche alcuni personaggi che avete visto sullo schermo.

Il film è stato proiettato per i detenuti.
È un percorso che è iniziato alla Mostra del Cinema di Venezia. L’abbiamo presentato nel carcere femminile della Giudecca. E poi in tanti altri. A colpirmi ogni volta è stato il dibattito, il confronto con i detenuti. Mi ha fornito tanti spunti di riflessione. Non è facile entrare in contatto con loro, poter condividere le esperienze. Anche gli agenti della polizia penitenziaria sono rimasti sorpresi, perché nella storia sono raccontati in modo non convenzionale.

Qual è la chiave giusta per rappresentare il mondo carcerario al cinema?
È la domanda che ho continuato a ripetermi per due anni. Mi ispiro alla realtà. La rivelazione a Lecco è stata che dovevo concentrarmi sui tentativi di comunicazione e non sulle divisioni. Al centro ho messo l’elemento umano. Sono i piccoli gesti che fanno la differenza, specialmente tra agenti e detenuti.

In relazione anche al tema del Lecco Film Fest, che cos’è la libertà?
Non è solo fisica, ma anche creativa. Deve essere continuamente difesa e conquistata. Non è mai scontata, cambia nel tempo. È fragile, serve una protezione costante.

Oggi si parla molto di giustizia riparativa, lei che cosa ne pensa?
Credo sia un lodevole tentativo di affrontare il tema della colpa, della pena, del risarcimento. È qualcosa di più intimista, contemporaneo, mentre il carcere allo stesso tempo è un’istituzione medioevale. Non è rinchiudendo una persona che si risolvono i problemi. Serve una disponibilità di recupero sincera verso l’altro.