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Paul Schrader e Richard Gere sul set di Oh, Canada - I tradimenti
Spesso, sbagliando, si sostiene che un critico cinematografico sia un regista fallito. Ci sono però critici che invece sono diventati maestri. Tra questi c’è Paul Schrader, autore del fondamentale Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer. Lo abbiamo incontrato al Festival di Cannes, dove ha presentato in concorso Oh Canada – I tradimenti. Occhiali scuri, completo nero: il look si specchia in quello della sua star Richard Gere, con cui torna a collaborare dopo American Gigolò. Sono passati 45 anni. Oh Canada – I tradimenti è la storia di Leonard Fife, illustre documentarista che, prima di morire, sceglie di raccontarsi. Il film è una confessione, sospesa tra presente e passato. Nel cast spiccano anche Uma Thurman e Jacob Elordi.
Lei è molto attivo sui social.
È vero. Penso che sia un mezzo di comunicazione straordinario. I miei numeri sono costantemente in crescita (ride, ndr). Tutto è iniziato per gioco, in un pomeriggio in cui non sapevo come impiegare il tempo. Non credevo che così tante persone fossero interessate a quello che penso. Non sono più un critico cinematografico da parecchio. Ma sostengo la centralità del pensiero critico. Serve una sensibilità particolare, che vedo svanire in chi lo fa di mestiere. Ho capito che dovevo smettere, non era più il mio mondo. Però continuo a trasmettere le mie idee. Alcuni le apprezzano, per esempio Kevin Spacey, che mi ha mandato una mail per ringraziarmi di averlo sostenuto.
Nei suoi film al centro ci sono spesso colpa e redenzione. Si può notare un fil rouge che unisce i suoi protagonisti.
Succede perché la natura umana presenta caratteristiche comuni, costanti. È importante lo sguardo, la prospettiva. A suo modo ognuno di noi è un missionario che cerca di essere, o di sentirsi, assolto. La mia generazione è ancora in pista. Coppola ha appena fatto Megalopolis, sfidando il sistema. Spielberg è instancabile, Lucas è un mito. Il cinema che abbiamo amato piace ancora al pubblico. Non è facile, l’industria cambia, viene chiesto di massimizzare il profitto. Il capitalismo è duro, ma siamo ancora qui. È in corso una rivoluzione culturale, in cui gli interessi degli spettatori stanno mutando. Se si entra nella hall di un albergo difficilmente sentiremo parlare di un film. Mentre una volta era così.
Qual è la differenza?
Il mondo che abitiamo. Non ci si possono più permettere follie, azzardi. Ogni cosa deve essere inserita in uno schema, in un rendiconto. I numeri sono i padroni, non la creatività. Chi finanzia il cinema non è cinefilo, ma è un imprenditore legato ai propri affari. Non ero soddisfatto quando ho realizzato Cane mangia cane con Nicolas Cage. Volevo rigirare alcune scene, ma non me lo hanno permesso. Con due o tre giorni in più sul set sarebbe stato tutta un’altra cosa. Ma la qualità oggi non interessa a nessuno.
Ormai è una trattativa.
Esatto, in cui il personaggio principale è il guadagno. Diventa una questione di contratti, di avvocati, non di macchina da presa.
Quando tornerà al lavoro?
Presto. Il mio prossimo progetto sarà un noir. Racconterà di un’ossessione, di un triangolo amoroso. E di una madre malata di mente. La cosa incredibile è che ho avuto i finanziamenti prima ancora di delineare il cast. Non capita quasi mai. Comunque ci sarà Jamie Dornan: non potevo fare un film sul sesso senza di lui (ride, ndr). Il titolo è Non Compos Mentis.