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Massimiliano Finazzer Flory - Credits: Margherita Bagnara
S’intitola Altri comizi d’amore, il nuovo documentario diretto da Massimiliano Finazzer Flory, prodotto da Movie&Theatre in collaborazione con Rai Cinema e con il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (PN). L’attore, drammaturgo e regista nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e a quasi sessant’anni dai suoi Comizi d’amore -campionario sociale dell’Italia più retriva e moralista sui temi della sessualità- riprende temi e motivi fondanti del regista bolognese, per rispondere a una domanda: che cos’è l’amore oggi?
Il documentario-intervista prende la forma di un viaggio per l’Italia alla ricerca dei luoghi che hanno segnato la vita del Poeta-Regista (Roma, il Friuli tra Casarsa della Delizia, Sacile e il lago di Grado) a caccia di nuove risonanze di senso del suo pensiero. Un’indagine sui sentimenti al tempo della società liquida, dunque, che coinvolge personaggi famosi quanto gente comune, chi lo ha conosciuto personalmente come Blasco Giurato, Ornella Vanoni, Fulvio Abbate, Maria Rita Parsi e ragazzi che l’hanno incontrato solo tra i libri di scuola.
Massimiliano Finazzer Flory perché riprendere, anzi perché continuare i Comizi d'Amore di Pasolini oggi?
Perché presupposto dei Comizi era la piazza, il popolo, la partecipazione collettiva. E tutto ciò era, all’epoca, anche la conseguenza di una narrazione della speranza, della fede in qualcosa, in qualcuno. È evidente, invece, che tutto ora si gioca sulla nostalgia del sacro e sul ritorno a un’identità cristiana, anzi direi dantesca. Ma tutto nasce sicuramente da lì, da quel viaggio, da quel profeta.
Pasolini percorse l'Italia, microfono in mano, per stanare il conformismo dilagante. Altri comizi d’amore è stato girato per stanare o per scoprire?
Pasolini all’epoca predisse che la volgarità è il momento più rigoglioso del conformismo. E direi che ci siamo arrivati: nella vita da “on life a on line”, la volgarità, oggi, da strumento si è fatto il soggetto. Perciò la mia necessità era soprattutto scoprire che siamo ancora gente che si incontra e si scambia parole. E questo a me fa una piacevole impressione. Per di più, direi che lo spirito dell’origine è tornato anche al cinema, nel bisogno di avere oggi padri, maestri, guide…
Contro quale tabù Pasolini girerebbe un documentario oggi?
La denatalità, è fondamentale cercare di capire perché non facciamo più figli in Italia. Ne abbiamo bisogno.
Nel suo documentario sceglie cinquantatré italiani, tra personaggi pubblici e gente comune da intervistare.
Ho voluto coinvolgere persone dai 12 anni ai 91 anni, filmate come se si fosse dentro un unico, lungo piano sequenza in bianco e nero dove il montaggio è corpo, la carne che si fa parola. Ho dato voce e volto a una società di individui che credono ancora, loro stessi, a un amore che è impossibile se privo di passioni, le quali diventano, però, inverosimili se non c’è anche un’esperienza di sofferenza.
A fine viaggio nel 1964 in Pasolini prevaleva lo scoramento: al miracolo economico dell'Italia non era seguito il miracolo spirituale e morale degli italiani. A riprese concluse in Massimiliano Finazzer Flory che sentimento prevale?
Io credo che oggi il miracolo ci sia e si rinnova con il sangue del cinema che vive ancora in sala come rito e reliquia. La morte stessa di Pier Paolo Pasolini è perfetta poesia, come egli stesso afferma nei suoi scritti: incolmabile e inconsumabile.