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Costanza Quatriglio
Un padre, una figlia. Il documentario Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio è stato presentato in anteprima alla Berlinale. È il racconto di una casa-mondo, della vita di un uomo non comune. Giuseppe Quatriglio è stato un giornalista e uno scrittore che è entrato in contatto con alcune delle personalità più importanti del Novecento, viaggiando in ogni continente. Nel 2022 la figlia Costanza ha scelto di donare l’immenso archivio di famiglia alla Biblioteca della Regione Sicilia.
“Si parte da un’immagine. Sono nella casa dei miei genitori. Archivisti e bibliotecari analizzano i libri e i documenti che mio padre ha lasciato. Tutto è stracolmo di storia: ci sono un secolo di avvenimenti. Da un punto di vista narrativo, mi sembrava una situazione interessante, così è nato lo spunto per il film. Da una parte mi affascinava il loro lavoro, la passione, il gusto, dall’altro lato ero attratta dalla continua trasformazione di uno spazio che mi era famigliare. Era qualcosa di potente da condividere. I produttori mi hanno sostenuta, invogliata, convinto, e siamo arrivati a Il cassetto segreto. Credevo che fosse necessaria una distanza anche temporale da quello che portavo sullo schermo, ma mescolare vita e cinema ci fa metabolizzare, crescere. Quindi il percorso poi è stato rapido. Abbiamo anche recuperato la testimonianza di mio padre, ormai anziano, del 2010, mentre era immerso tra le sue carte. È un’assenza che si fa presenza”, spiega Quatriglio.
Qual è il suo approccio al materiale d’archivio?
È stato diverso dal passato, in ogni caso amo adattarmi a ciò che richiede il progetto a cui mi dedico. In Terramatta ho utilizzato l’iconografia ufficiale per ragionare sull’aspetto privato di un uomo (Vincenzo Rabito, ndr) che ha significato molto per l’Italia. Per Triangle ho provato a unire passato e presente attraverso una forte simbologia. Per Il cassetto segreto mi sono lasciata condurre da uno stupore immediato, come se ogni fotografia, bobina, audio fosse un dono. Volevo valorizzare l’unicità di ogni ritrovamento. È un archivio fisico, concreto.
Che cosa cambia rispetto a un film di finzione?
Nel mio caso non molto. Ogni mio film di finzione attinge a una base documentaristica. C’è una profonda connessione. La vera differenza è nell’estrema libertà che concede un documentario, come struttura e invenzione del linguaggio. Ha una creatività esplosiva, in cui si può mescolare, attraversare confini sconosciuti, con soluzioni espressive nuove. Si sperimenta di più magari rispetto a produzioni con standard industriali estremamente radicati.
Alcune volte finzione e documentario si incontrano.
Ho sempre praticato la commistione tra i generi, fin da L’isola nel 2003. In Con il fiato sospeso ho chiesto ad Alba Rohrwacher di farsi carico delle testimonianze di studenti e ricercatori universitari. Per me è sempre stato naturale, non possono esistere “steccati”.
Che cosa significa oggi insegnare cinema?
Alimentare il punto di vista e la voce dei ragazzi. Accompagnare i giovani nel mondo, aiutandoli a recuperare un senso di meraviglia. Il mestiere, la competitività e la tecnica sono facili da trasmettere, ma la cosa più difficile è invece aprire delle porte mai scontate.
Che cosa le piace guardare sullo schermo?
Sono una spettatrice onnivora, mi accosto anche a generi che non ho mai praticato. Sono curiosa, appassionata. Penso che sia necessario conoscere per potersi mettere dietro la macchina da presa.