PHOTO
Vera è un film con intenti pasoliniani. Lo sguardo è sulla borgata, sulla Roma lontana dai fasti e dalla ricchezza. Al centro Vera Gemma, che si mette a nudo, in una storia a cavallo tra i generi, sospesa tra finzione e documentario. L’eredità del padre Giuliano Gemma, le fragilità cresciute nel tempo, la voglia di indagare l’altro, sfidando la paura di apparire: questo è Vera di Tizza Covi e Rainer Frimmel, e molto di più.
È un alieno nel panorama cinematografico italiano, che alla Mostra di Venezia ha vinto per la miglior regia e attrice protagonista nella sezione Orizzonti. “Nel film sono me stessa, ho attinto da cose che mi sono accadute. Ho ritrovato delle emozioni che avevo provato. Ci sono la mia tristezza, malinconia, solitudine. Non recito, ho aperto il mio io al pubblico. Vera nasce da un episodio terribile. Mi hanno addormentata in una stanza, si sono presi le chiavi di casa mia e mi hanno derubata. Ho fatto fatica a svegliarmi, poi è arrivato il dolore, la mano dentro alla borsa e sentirla vuota. Mi hanno fatto del male. Ho fatto denuncia e poi l’ho ritirata. Non voglio che nessuno sia condannato per colpa mia, neanche i peggiori. È sempre stato il mio modo di essere, non smetto di credere negli esseri umani”, spiega Gemma.
Chi è Vera Gemma?
Una persona disarmata nel modo di porsi. Sincera, onesta, reale, senza filtri. È l’unico modo che conosco per vivere. Non mi interessa essere accettata, piacere a tutti. Questo porta a capirmi e a fraintendermi.
Come si è costruita la sua identità?
Ho fatto la domatrice di tigri e leoni al circo, ho fatto per anni spettacoli in Ucraina e Bielorussia. Questa guerra mi distrugge. Poi sono stata una spogliarellista a Los Angeles. Ho sempre cercato un mio modo di essere artista e di esibirmi, che per me era fondamentale. Ho scritto due libri, ho diretto un documentario su mio padre. Mi sono impegnata costantemente. Tizza Covi l’ho incontrata al circo, mentre girava Mister Universo. Questo film arriva da una gabbia piena di leoni.
Mi parla della sua esperienza al circo?
Ci sono cresciuta. Papà si allenava nell’ambiente circense, era considerato uno di famiglia. Parlo anche il loro gergo, sono la benvenuta. Quando lui è morto, ho sentito un richiamo. È stato come ritrovarlo in quel luogo, in mezzo ai ricordi, a chi gli aveva davvero voluto bene. Le feste le passavo al circo, perché non avevo una famiglia vera e propria. È stato naturale iniziare a fare gli spettacoli con gli animali. Avevo quattro tigri bianche che erano mie.
E la spogliarellista?
Un giorno ho visto Carlito’s Way, mi sono innamorata dello striptease di Penelope Ann Miller. Volevo essere anche io come lei. Per una serie di motivi mi trasferisco a Los Angeles, e vado al Body Shop, uno dei locali più famosi nel settore. È fantastico. Chiedo al manager un’audizione, mi compro i costumi, scelgo le musiche, uso la stessa di Carlito’s Way, e mi assumono. Guadagnavo tantissimo, l’ho fatto per un anno. Ogni film però a un certo punto finisce, non potevo farlo tutta la vita. Ho smesso quando sono rimasta incinta, da quel momento è cambiata ogni cosa.
Che rapporto ha con suo figlio?
Sono pazza di lui, molto protettiva. Gli ripeto ogni giorno che è bellissimo, a volte ormai non mi risponde neanche più. Forse esagero (ride, ndr). Lui adesso ha una grande autostima.
Che cosa significa ancora oggi suo padre per lei?
La famiglia influenza tutto ciò che siamo. Ci resta dentro per sempre. Per me è un modello meraviglioso, non mi sono mai sentita alla sua altezza. Ci ha sempre uniti un grande affetto. Avrei voluto essere apprezzata come lui, invece mi dicevano che ero brutta, lontana dal suo modello. Questo mi ha segnato, è stata dura. In parte l’ho superato, cercando disperatamente di essere affascinante, unica, carismatica. Forse ce l’ho fatta, anche se sono molto critica con me stessa. Quando ho visto che il titolo del film era Vera è stata una gioia immensa.
Hai fatto anche dei reality.
È vero, ma senza mai perdere quello che sono. In quel caso mostravo un’altra parte di me, quella più coraggiosa, combattiva. Dovevo dire poche cose, ma incisive.
Quale sarà il suo prossimo film?
Sono in contatto con un cineasta austrico di nome David Wagner. Sarà il remake di un western conosciuto, è in fase di scrittura.
Il western la accompagna sempre, anche attraverso l’immancabile cappello che fa parte del suo look.
Ne ho tre: uno bianco, uno nero, uno rosso. Me li ha regalati mio padre. Sono quelli originali che mettono i cowboy. Mi ha detto di indossarli, perché mi porteranno fortuna. E aveva ragione.