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Anna Fendi
La maison Fendi ha avuto con il cinema un legame speciale coltivato con passione dalle cinque sorelle più famose della moda: Alda, Anna, Carla, Franca e Paola. Amanti delle sfide, hanno dato vita a veri e propri laboratori creativi in cui arte, cinema, moda e cultura si sono fusi. Ancora oggi Anna Fendi ne parla con calore, ricordando gli anni d’oro della Hollywood sul Tevere e gli incontri con i maestri del cinema.
Qual è l’essenza del rapporto tra moda e cinema?
Il cinema racconta con occhi speciali la realtà che ci circonda e allo stesso tempo la può trasformare in sogno. La moda fa la stessa cosa, si appropria della realtà e la trasfigura in qualcosa d’altro. Sono arti che si rispecchiano.
A quando risale l’incontro di Fendi con il cinema?
Molto prima di cominciare a disegnare capi per i film, con le mie sorelle eravamo già delle appassionate. Aspettavamo con ansia la domenica per poter andare al cinema. Erano gli anni della Hollywood sul Tevere, in cui Roma brillava per le presenze di star e registi che era facile incrociare a cena nei ristoranti o nei bar. Una stagione magica. L’incontro che però ci ha aperto le porte è stato con Umberto Tirelli, il grande collezionista di costumi, che un giorno entrò nel nostro atelier avendo sentito parlare bene di noi. Ci siamo avvicinate al cinema per crescere, avendo intuito che sarebbe stato uno scambio positivo per entrambi i mondi.
La prima collaborazione ufficiale risale al 1974, anno di Gruppo di famiglia in un interno.
I costumi del film erano firmati dal maestro Piero Tosi, un uomo di enorme cultura, che ha lavorato con noi lasciandoci però libere di creare i nostri modelli. Una collaborazione talmente magica che siamo rimasti amici per tutta la vita. Con Karl Lagerfeld a fianco, abbiamo disegnato gli abiti di Silvana Mangano che lei valorizzava in maniera eccelsa, illuminandoli. Ricordo che alcuni capi erano nella nostra collezione e Tosi li considerò già perfetti per il film. Creazioni all’epoca all’avanguardia.
Di Luchino Visconti è noto la maniacalità per ogni dettaglio. Era davvero tanto esigente?
Lavoravamo in autonomia ma poi arrivava il momento del confronto. Avevamo realizzato per Silvana un trench di una seta particolare color sabbia foderato di zibellino, chiuso da una cintura anch’essa della stessa pelliccia. Quando Visconti lo vide indosso a una mannequin disse: “Straordinario, ma la cintura non è all’altezza del capo mentre deve essere protagonista”. Aveva ragione perché non avevamo utilizzato pelli di prima scelta per farla, e lui sapeva il modo in cui la Mangano l’avrebbe indossata: salendo le scale di spalle con la cintura quasi ad accarezzare i gradini. Era veramente la protagonista.
Creare abiti per un film significa collaborare con dei costumisti che sono a loro volta dei creativi, come si conciliano le visioni?
Con Tosi, lo ripeto, regnava l’armonia. Con gli altri ci si confrontava, avendo un obiettivo comune, ma poi la parte realizzativa era tutta nostra. Abbiamo lavorato in piena libertà.
A leggere i nomi dei registi per i quali Fendi ha creato modelli si resta stupiti: Fellini, Parker, Cavani, Bellocchio, Scorsese, solo per citarne alcuni. C’è un autore che vi ha ispirato di più?
Il cinema non ci ha particolarmente influenzato, più l’arte e l’architettura. Però guardavamo a Audrey Hepburn e ai suoi capi Balenciaga come fonte di ispirazione, lo confesso. Balenciaga è stato il maestro di tutti, impossibile negarlo.
C’è una creazione per un film che le è rimasta nel cuore?
Una giacchina di pelliccia grigia indossata dalla Mangano, sempre nel film di Visconti. E il mantello rosso con il manicotto e il collo di pelliccia che avvolge Michelle Pfeiffer in una scena all’aperto di L’età dell’innocenza, bellissimo.
C’è una attrice che vorrebbe vestire?
Abbiamo creato abiti per Audrey Hepburn durante il periodo in cui ha vissuto in Italia, un privilegio unico. Non credo di poter desiderare altro.