Salvatore Giuliano è un film fondativo del cinema italiano: è un capostipite di cinema civile oltre che un capolavoro che sa anche essere linguaggio fino in fondo. Poi è legato a un tema cruciale: ritrovare tracce della verità storica interrogando un luogo come la Sicilia, ma rendendolo universale. Questo film mi ha detto meglio di un’isola al cinema spesso equivocata, un luogo più grottesco che autentico secondo una certa, corriva commedia”.

Roberto Andò arriva al Lecco Film Fest per presentare Salvatore Giuliano del suo padre putativo Francesco Rosi. L’evento si terrà venerdì 5 luglio alle ore 15:30 al Cinema Nuovo Aquilone. A seguire, poi, incontrerà la piazza alle ore 18 per Cinematografo Incontra.

Roberto Andò: un valore del cinema di Rosi che ha ispirato le sue opere.
"Da Cristo si è fermato a Eboli in poi siamo stati vicini: Rosi era al 100% un cineasta benché, quando Salvatore Giuliano vinse a Berlino, molti critici dissero che era un documentario. Un’idea oggi dissipata: si nutrì di cinema americano, fu allievo di Visconti e impose alla vicenda di Giuliano una sua visione; rinunciò al protagonista, nonostante il titolo, per mostrare ciò che si muoveva intorno a lui. Una scelta anti–spettacolare. Mi ha influenzato il fatto che ci sia sempre davanti alla sua cinepresa un senso di verità, a prescindere dalla storia, come la sua visione autentica sulla Sicilia, luogo caotico, pieno di misteri e ambiguità, da lui inquadrato in modo limpido”.

E un valore da cui si è distaccato?
“A me è sembrato che per raccontare la dimensione civile ci volesse il romanzo. Come dice Pasolini in Petrolio, la storia italiana è talmente efferata che non la puoi raccontare con il realismo, serve un racconto ‘pazzerello’. Quando faccio film guardo alla Storia e aggiungo un tasso d’invenzione”.

A proposito di Storia e invenzione, in Sicilia sta girando L’abbaglio.
“Parto da un retroscena della vicenda dei Mille poco noto: Garibaldi a Marsala capisce che entrare a Palermo sarà arduo perché la difesa borbonica è imponente. Allora affida al colonnello Vincenzo Giordano una colonna di disgraziati per far credere al battaglione borbonico che si ritirerà all’interno della Sicilia. E così accadde. Dentro questo fatto storico, però, con gli sceneggiatori Chiti e Gaudioso, insinuiamo una trama fantastica che porta il racconto ad una dimensione esemplare. A suo modo è un film pazzerello”.

Il trio Servillo, Ficarra e Picone è confermato in blocco.
“Quando promuovevo La stranezza dicevo che avrei desiderato fare una trilogia con loro. In tre creano l’amalgama che dà il tono a tutto il film: il personaggio di Servillo è drammatico, quelli di Ficarra e Picone sono comici”.

Tornando a Rosi, se fosse vivo oggi, che film girerebbe?
“Mi raccontava di tanti progetti, è stato un titano che non si è mai fermato anche se sentiva il peso di essere inascoltato. Oggi lo avrebbe appassionato il depistaggio della verità sulla morte di Borsellino e Falcone”.

Che film di Rosi, invece, vorrebbe girare Andò.
“Vorrei riprendere il progetto su Giulio Cesare, un film sul potere – un mio tema - ricostruendone l’assassinio. L’altro è una storia cui sto già lavorando, legata a un film di Rosi”.

Possiamo saperne di più?
“Per ora non posso rivelare nulla”.

Il tema del Lecco Film Fest quest’anno è la libertà. Qual è la prima immagine di libertà che le sovviene pensando al suo cinema e a quello di Rosi.
“Il cinema di Rosi è la libertà di avere dubbi, di porre domande, di scavare nel passato. Lui voleva farsi testimone della Storia con il cinema con una coerenza straordinaria. La mia è un’idea più variegata, legata alla solitudine e alla fantasia: penso al fratello gemello di Viva la libertà, al monaco de Le confessioni, al personaggio di Servillo in L’abbaglio, tutte solitudini che hanno la capacità di deragliare dall’ordine. Credo in una libertà conquistata non solo con lo scavo ma con l’intelligenza e la fantasia. In La rabbia Pasolini urlava più volte “Viva la libertà!” e poi aggiungeva: ‘è facile dirlo ma bisogna meritarsela’”.

Il metodo Rosi per fare cinema è esemplare e noto: documentarsi, approfondire, scavare oltre le apparenze. Il metodo Andò qual è?
“Rosi credeva nella possibilità di trovare da vicende esemplari della nostra memoria storica il bandolo di una vicenda oscura. Per me per ritrovare il senso di certe vicende c’è bisogno di uno scatto fantastico, di un apporto dell’immaginazione. A proposito, vorrei aggiungere un’altra cosa sulla libertà”.

Prego.
"Quando ho fatto il doc ll cineasta e il labirinto con Rosi, abbiamo fatto un lungo viaggio in Sicilia. Alla fine mi è sembrato evidente che lui fosse un contestatore della morte. Se uno pensa al Sud pensa a una certa irriverenza nei confronti della morte. In Rosi come in Sciascia, invece, c’è l’idea che i morti per ragioni non acclarate come Giuliano continuino a parlarci. Nei suoi film tutto si muove intorno a un morto perché voleva togliere prestigio alla morte. Se i franchisti urlavano ‘viva la muerte!’, Rosi urlava “Viva la libertà!’”.