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“Nella nostra società l’emotività viene spesso soffocata e si tende a prendere le distanze dai sentimenti privilegiando altri aspetti considerati più mascolini. Ma piangere per esempio non significa essere deboli”. Vincitore del premio Grand Prix al 75° Festival di Cannes e presentato ad Alice nella città alla scorsa Festa del Cinema di Roma, Close, il film di Lukas Dhont arriverà nelle sale italiane il 4 gennaio distribuito da Lucky Red.
Dopo l’acclamato esordio con Girl (2018), il regista fiammingo Lukas Dhont torna al cinema con una profonda storia di amicizia sulla ricerca dell'identità, raccontata attraverso il legame tra due ragazzi di tredici anni, Léo (Eden Dambrine) e Remi (Gustav De Waele), uniti da un affetto fraterno. “Il tema è l’amicizia intima tra questi due giovani e la pressione che viene posta loro sul concetto della mascolinità, ma è anche tutto quello che non viene detto e verbalizzato. La drammaturgia di questo film è costituita da due parti: una tenerezza e una fragilità che vengono poi corrotte verso la brutalità e la rabbia”, dice il regista, che ha scritto anche la sceneggiatura del film insieme ad Angelo Tijssens.
“In realtà mi sento molto più un coreografo che uno sceneggiatore- precisa-. Prima di fare il regista volevo fare il ballerino e, quando scrivo, il ballerino che è in me prende vita. Scrivo movimenti, distanze, vicinanze più che dialoghi”. E sulla preparazione racconta: “Con i giovani interpreti abbiamo passato molto tempo insieme. Facevamo i pancake, cucinavamo gli spaghetti e il cibo messicano, non facevamo prove perché io amo l’improvvisazione e non voglio che si senta troppo la presenza della macchina da presa. Ho cercato di trasformare questi ragazzi in detective e li ho fatti parte attiva della sceneggiatura, chiedendogli perché, secondo loro, Remi si sarebbe comportato in un determinato modo. Non hanno provato il testo, volevo farli entrare nel ruolo, facendogli sentire la libertà di esprimersi. Alcune delle cose più intelligenti della sceneggiatura sono venute fuori dai tredicenni”.
Tante le emozioni che spesso non si riescono ad esternalizzare, in primis, in questo caso: il senso di colpa. “Spesso proviamo dei sentimenti, ma non siamo in grado di esprimerli. Questa è una cosa che ho provato molto nel corso della mia vita e credo che sia importante mettere tutto questo sullo schermo perché è un modo per cominciare a parlarne. Trascorriamo la vita andando a scuola e imparando la matematica, il latino, il francese, ma non troviamo mai nessuno che ci insegni ad esprimere il nostro linguaggio interiore e quel che sentiamo. Talvolta da parte degli adulti c’è una mancanza in questo senso. Ho avuto dei genitori che non avevano gli strumenti e i termini per esprimere i propri sentimenti e questo spesso è qualcosa che passa di generazione in generazione”.
Nel film hanno anche importanza le mamme di Léo e Remi. “Sono tutte persone che cercano di trovare un modo per affrontare i propri sentimenti. La madre di Remi indossa, come Léo, una sorta di armatura per proteggersi e per continuare ad andare avanti. Entrambi cercano un modo per incanalare il proprio senso di colpa, la loro responsabilità e la loro profonda tristezza. Gli esseri umani hanno sempre il profondo desiderio di capire le cose e di cogliere l’inafferrabile, ma non tutto può essere capito appieno per cui nel film ho lasciato alcune cose non esplicate per lasciare libero lo spettatore di riempire questi spazi vuoti a suo piacimento”.
Close non solo è il film candidato dal Belgio alla corsa per l’Oscar, ma è anche candidato a quattro premi degli EFA (European Film Awards). “Il Belgio in questo momento sta creando tantissimo. Il cinema europeo esprime diverse voci ed è molto creativo. Nel cinema americano invece esistono più codici e convenzioni, legati al sistema degli studios, difficili da spezzare”. Infine conclude: “Per gli adulti questo è un film sul passato e sulla memoria delle nostre relazioni. Per i giovani invece è il racconto di una generazione che prova a smantellare la società patriarcale e le varie categorie definite verso una maggiore fluidità. Io racconto due giovani ancora vincolati da una società fortemente condizionata”.