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S’intitola Gente strana, e racconta una delle numerose missioni dell’organizzazione non governativa CEFA, ONG che quest’anno festeggia i suoi cinquant’anni e che da decenni lavora per vincere fame e povertà, portando lavoro in Africa e America Latina e creando modelli di sviluppo sostenibile.
Presentato come evento speciale ad Alice nella Città, questo mockumentary, che si snoda tra Bologna e la Tanzania, targato Genoma Films, diretto da Marta Miniucchi e interpretato da Cesare Bocci, Matteo Gatta e Lodo Guenzi, sarà prossimamente al cinema e poi su Sky Documentaries e in streaming su NOW.
Perché questo titolo? “Per la prospettiva in cui i ragazzi vedevano questi sconosciuti bianchi che dall’Italia venivano a dargli una mano - risponde Matteo Gatta -. Marco, il personaggio che interpreto, viene da una famiglia di allevatori di mucche. Arrivato in Tanzania si mette a parlare con un bambino a lungo senza che lui capisca nulla. E il bambino dice: non capisco niente di quel che dice, so solo che gli piace accarezzare le mucche e da noi quelli come lui li chiamiamo gente strana- nella loro lingua si dice Watu Wa Ajabu”.
Nel film si racconta la storia di Loris Bonetti, un reporter incaricato di realizzare un reportage sul Cefa attraverso il racconto in parallelo del tanzaniano John Sagala e di Marco Rinoldi, un giovane ragazzo italiano che ha deciso di diventare volontario e seguire uno dei progetti nella regione di Njombe. Entrambi sono figli di allevatori, John in Tanzania ha una famiglia in difficoltà nel gestire l’attività a causa della scarsa preparazione e delle poche risorse, mentre Marco in Italia non vuole avere a che fare con il grande consorzio del padre. L’esperienza africana e l’operato del Cefa farà crescere entrambi.
Sei d’accordo con lo slogan: “Aiutiamoli a casa loro”? “Il Cefa di fatto da cinquant’anni li aiuta a casa loro, ma non è quell’aiutiamoli a casa loro come lo intende il mitico ex ministro (ndr. Matteo Salvini), che ora si sta ritagliando il suo spazietto in Parlamento. Per lui significa: non facciamoli sbarcare qua. Noi vogliamo migliorare le loro condizioni e portarli all’indipendenza fornendogli i mezzi per disporre di quel che è necessario per poter elevare il proprio status. Sullo status ci tengo a specificare che non c’è alcun giudizio occidentalista, ma c’è il dato oggettivo della mortalità infantile. Le loro condizioni di vita devono essere migliorate”.
Difficile per loro accettare questo cambiamento e questa diversa prospettiva. “Chiaramente lo è. Il colonialismo ha insegnato ai popoli africani che quando l’uomo bianco arriva è per fare del male. Non è facile anche perché questi villaggi, da migliaia di anni, sopravvivono sulla base di rituali che si sono consolidati nel tempo e ci vogliono persone specializzate, che conoscono la popolazione africana e che sappiano interfacciarsi con loro. Il Cefa lavora da tanti anni, ha una grande esperienza sul campo e conosce la gente, quindi sa come farlo. Ma è più che normale che loro dubitino dell’aiuto che gli offriamo. Spesso sotto questo aiuto si mascherano altre cose, ma non è il caso del Cefa”.