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Supersex. Alessandro Borghi as Rocco in episode 105 of Supersex. Cr. Lucia Iuorio/Netflix © 2024
“Abbiamo voluto, da donne, raccontare la mascolinità e il suo percorso di costruzione. Il porno, a differenza degli anni Settanta, non ha più il potere dirompente dell’avanguardia nel raccontare il sesso. Oggi è quasi nascosto. La sfida del nostro tempo è capire il rapporto tra maschile e femminile. Siffredi non è un’eccezione, ma un eccesso della nostra società. Lo abbiamo preso come esempio per fare della sessualità una grande epopea”, spiega Francesca Manieri, che ha creato e scritto Supersex, la serie in sette episodi liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi. È stata presentata in anteprima qui alla Berlinale, e sarà su Netflix dal 6 marzo. Dietro la macchina da presa ci sono Matteo Rovere (che produce anche per Groenlandia), Francesca Mazzoleni e Francesco Carrozzini.
“Quello che vedrete rispecchia quasi completamente la realtà. All’inizio su alcune cose avevo dei dubbi, non riuscivo a guardarmi così tanto in profondità. Una piccola parte è stata romanzata, poi ho protetto alcuni familiari, non si deve sapere tutto. Ci sarebbe tanto materiale per proseguire con una seconda stagione”, rivela Siffredi. Che prosegue: “Il porno ha avuto il suo momento d’oro negli anni Ottanta e Novanta, con Moana e non solo. Era bello, pulito, sincero. Poi, con internet, sono entrate delle dinamiche economiche che hanno rovinato tutto. La predisposizione naturale a questa professione si è conclusa più di un decennio fa. Non mi piace la finzione, cerco la verità. Mi sono creato il mio spazio a Budapest, dove faccio le cose alla vecchia maniera. Ho un’accademia. La mia è stata una vocazione. Adesso sto benissimo, ho una famiglia sincera, due figli meravigliosi, una moglie che è una santa. Per tutta la mia esistenza mi sono sentito l’oggetto del piacere del femminile. Non mi pento, cammino a testa alta. Però so che qualcosa, a livello emozionale, l’ho pagato”.
Supersex si apre a Ortona, in Abruzzo. Rocco Tano è un bambino, affascinato dal fratello maggiore. Lo guarda come se fosse un divo: è aitante, frequenta la ragazza più bella del paese. Intanto Rocco entra in possesso di un fumetto hard chiamato Supersex, che diventa il suo vanto e il suo rifugio. È un percorso che lo porterà lontano da Ortona: prima a Parigi, e poi in tutto il mondo.
A prestare il volto a Siffredi è Alessandro Borghi. “Fin da quando ero piccolo non ho mai avuto un gran senso del pudore. Non ho problemi nel rapportarmi con la nudità, lo faccio con naturalezza se è propedeutico all’interno di una narrazione. Ho un rapporto con il sesso molto libero, sempre legato all’innamoramento. Come per tanti, le mie scoperte sono arrivate attraverso il porno. Oggi manca, soprattutto nelle scuole, una corretta educazione sessuale, sentimentale. La serie mi ha aiutato a interrogarmi su me stesso”. E sulla collaborazione con Siffredi: “Mi è sempre stato vicino, mi ha aperto le porte della sua casa, mi ha supportato. Il rischio era di fare un’imitazione, mentre io volevo catturare la verità. Questa è una serie nata per creare un contraddittorio, per generare una discussione. Per alcuni Rocco è un mostro, per altri è un eroe”.
Adriano Gianni è il fratello di Siffredi, Tommaso. “All’inizio volevo scappare da questo progetto, poi Francesca Manieri mi ha convinto. Il mio è un personaggio complesso, a partire da dialetto ostico con cui si esprime. È tormentato, a suo modo malato. La sua identità nasce da un abbandono”. Jasmine Trinca interpreta sua moglie Lucia: “Lei mi ha permesso di dare voce a un mio pensiero profondo: avere la libertà di sfuggire al mio destino. Lucia darà a Rocco un’immagine più limpida dell’amore. Vuole essere differente, anche se resta imprigionata in alcune regole imposte dalla società”.
Per i registi è stata una sfida. “Le scene più esplicite sono quelle in cui ho cercato di infondere maggior sentimento. Non c’è nulla di gratuito, tutto è funzionale alla storia”, dice Rovere. Aggiunge Mazzoleni: “Gli attori sono stati molto generosi. Noi ci siamo documentati. È stato un percorso di forte intensità”. Conclude Carrozzini: “Attraverso la cinepresa mi sono fatto delle domande, che penso saranno le stesse che si porranno gli spettatori. Credo che in quest’epoca sia qualcosa di non comune”.