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Nostalgia (credits webphoto)
Due sere fa si è svolta presso il cinema Babylon di Berlino la cerimonia di premiazione della 25ma edizione di “Cinema! Italia!”, un festival itinerante del cinema italiano in Germania organizzato dall’associazione Made in Italy. Ha vinto Welcome Venice di Andrea Segre, risultato il più votato dagli spettatori tedeschi. Al di là del prestigio, il film ottiene un pass per le sale tedesche grazie al distributore Kairos-Filmverleih di Gottinga, partner dell’iniziativa.
“Cinema! Italia!” è solo una delle tante iniziative di promozione e diffusione del nostro cinema all’estero.
Ai progetti di internazionalizzazione del film italiano lo Stato destina ogni anno quasi un milione di euro di risorse, distribuiti attraverso un apposito bando del Ministero della Cultura a un elenco variegato di soggetti: associazioni, istituti, aziende editoriali, cineforum e costole di film commission. Viene finanziato di tutto: tournée, rassegne, workshop di co-produzione, business event, persino riviste trimestrali. Varia anche la geografia dei Paesi-target: si va dall’Est Europa all’Estremo Oriente, dall’Africa al Sudamerica, senza trascurare la capitale del cinema mondiale, Los Angeles, che ospita ben due manifestazioni di promozione. Non tutti i progetti vengono sostenuti allo stesso modo, a chi tocca una bella fetta della torta, a chi poche briciole: i contributi dipendono dai punteggi assegnati sulla base di un complesso meccanismo di valutazione.
Il sostegno ai progetti di sviluppo del cinema italiano all’estero non è peraltro l’unica modalità con cui il nostro Paese stimola l’internazionalizzazione dei propri film: la “legge Franceschini” prevede ad esempio che il finanziamento alla produzione cinematografica erogato dal MIC sia concesso anche in virtù “del valore delle vendite dei diritti all’estero”, “del numero dei paesi in cui i film dell’impresa hanno avuto una diffusione commerciale”, “della collaborazione con co-produttori stranieri”. Inoltre, la legge prevede la concessione di aiuti selettivi per la distribuzione internazionale, ovvero per aiutare i distributori italiani a esportare i loro film in sale, canali televisivi e servizi non lineari stranieri, contribuendo a coprire parte dei costi in cui incorrono. Nel 2017 sono stati però assegnati solo 232.000 euro dei 960.00 previsti. Tra le “leve” dell’internazionalizzazione val la pena ricordare anche l’impegno del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) tramite l’azione delle ambasciate, dei consolati, degli 83 Istituti di cultura italiana all’estero e, d’intesa col MISE, delle Agenzie per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (i famosi Istituti di commercio estero, ice) presenti in 115 paesi. Non va dimenticato poi il sostegno comunitario alla distribuzione internazionale, che avviene principalmente attraverso il programma Media.
Nonostante questo sforzo capillare, i risultati per l’export cinematografico italiano sono deludenti. Una ricognizione completa sulla capacità di penetrazione dei film italiani all’estero la fornisce uno studio pubblicato due anni fa da Il Mulino, Cinema made in Italy La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano, a cura di Massimo Scaglioni.
Molte delle criticità rilevate da quella ricerca si sono purtroppo aggravate con la pandemia. Di fronte a un’effervescenza produttiva senza pari in Europa – realizziamo ogni anno più film della Francia! – e sesta al mondo, l’Italia raccoglie poco, se non pochissimo, sui mercati internazionali. Prendendo a riferimento la sola distribuzione theatrical nel decennio 2007-16, scopriamo che la percentuale di admissions raccolte da film italiani in Europa supera il 5% della platea complessiva solo in tre paesi (Svizzera, Grecia e Olanda), mentre nel resto d’Europa la “quota italiana” oscilla da meno dell’1% al 5% (i livelli più bassi sono toccati nel Regno Unito e nei paesi scandinavi e del Nord Europa).
Le cose non vanno meglio negli Stati Uniti, dove la quota di pubblico in sala del cinema italiano sul totale dei film non-nazionali (ovvero non di produzione americana) supera di poco 2 milioni e trecentomila presenze nell’intero decennio (un dato peraltro “drogato” dalla fortissima performance di Call Me by Your Name di Luca Guadagnino).
Nel Vecchio Continente, l’Italia va peggio non solo rispetto alle cinematografie più forti (quella inglese e francese) ma anche al confronto con Germania, Spagna, Danimarca, Belgio e Svezia. La Francia è, dopo la Svizzera, il Paese dove il cinema italiano circola di più.
Si tratta perlopiù di film d’autore o arthouse, un comparto nel quale una manciata di campioni nazionali – Moretti, Bellocchio, Sorrentino, Garrone – riesce ancora a far valere il proprio prestigio. Anche qui però non sono tutte rose e fiori: manca un vero ricambio a livello di nomi e il fatto che l’ultimo titolo italiano a vincere l’Oscar come miglior film straniero sia stato nel 2014 La grande bellezza di Paolo Sorrentino (che è stato anche l’ultimo regista tricolore a portare un proprio lavoro nella cinquina dei candidati alla statuetta con È stata la mano di Dio, prodotto da Netflix!), la dice lunga. Facciamo tutti il tifo per Nostalgia di Mario Martone, ma il fatto che ieri sia rimasto a bocca asciutta di nomination ai prossimi Golden Globes non lascia presagire nulla di buono.
Val la pena sottolineare come l’internazionalizzazione non sia solo un tema economico – pure importante – ma di rappresentazione culturale. Come ricorda Gian Piero Brunetta “il cinema è stato il primo prodotto a qualità totale e certificata ad operare da apripista per i successivi trionfi della moda, del design, della gastronomia, dell’architettura”. Le persistenti difficoltà del nostro cinema ad aprirsi ai mercati esteri è l’indice di una mancanza generale di appeal del nostro prodotto. Il segnale di una possibile inversione di tendenza potrebbe suggerirlo il recente successo su Netflix di un film di genere come Il mio nome è vendetta di Cosimo Gomez che, con oltre 32 milioni di ore di riproduzione in una settimana, ha segnato un record assoluto per le produzioni Netflix Italia sia per quanto riguarda i film sia per quanto riguarda la serie televisive.
Proprio le piattaforme, pur con tutti i limiti di standardizzazione delle proposte, potrebbero sollecitare un’attenzione maggiore verso produzioni meno ancorate ai dettami del gusto domestico. L’altro meccanismo su cui, dati alla mano, converrebbe far leva, è quello delle co-produzioni, che generano complessivamente il triplo delle presenze in sala dei film nazionali e vengono distribuite in una media di 6,43 paesi stranieri contro quella di 2, 44 raggiunta dai film nazionali europei. Più di tutto però, manca una cabina di regia capace di coordinare le tante iniziative di sostegno all’internazionalizzazione. Il sistema policentrico su cui si regge il modello, se da una parte ha il vantaggio di essere agile e ricettivo rispetto a repentini cambiamenti di scenario, dall’altra consente solo intraprendere azioni a corto raggio, talvolta sovrapposte e quasi mai armonizzate tra loro. Servirebbe una politica industriale sull’export cinematografico, possibilmente ancorata a una visione che tenga insieme creatività e potenzialità commerciale del nostro prodotto.
Per l’attuale governo di centro-destra, che ha fatto del made in Italy una questione di bandiera e la denominazione di un ministero, sarebbe un test decisamente interessante e la dimostrazione che si può difendere il buon nome nazionale all’estero anche migliorandone, banalmente, “l’immagine”.