“Sono l'unico regista che può dire che il suo film è sublime perché è opera dei Lumiere. Il loro ruolo nella storia del cinema è sempre stato un po' bistrattato. Non sono stati solo inventori del cinema e neanche solo cineasti. Furono entrambe le cose. Io non conoscevo tutte le ‘vedute’ che avevano realizzato, per cui è stato magnifico riscoprirli. A Lione ho riconosciuto i luoghi in cui erano stati girati, ho scoperto queste meraviglie e ho capito che era necessario ridare ai Lumiere il ruolo che meritavano nella storia del cinema e soprattutto riconoscere loro il ruolo di autori. Hanno fatto un lavoro fondamentale e lungimirante per le sorti del cinema, e ci sono ancora tantissime opere meravigliose da restaurare e scoprire".

Thierry Frémaux direttore del Festival di Cannes nonché dell’Istituto Lumiére di Lione, dopo l’anteprima all’ultimo festival del cinema di Roma, presenta in Italia il documentario Lumière – L’avventura del cinema, un viaggio alle origini della settima arte che raccoglie più di 120 vedute inedite e restaurate dai fratelli cineasti, a 130 anni dal loro celebre, primo film realizzato, Sortie d’usine (Uscita dalla fabbrica), girato nel 1895, per molti, il principio dell’arte cinematografica.
Il documentario - che segue Lumière! La scoperta del cinema dello stesso Frémaux uscito con successo nel 2016 – si avvale della voce narrante nella versione italiana di Valerio Mastandrea, e approderà nelle nostre sale dal 3 aprile distribuito dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Lucky Red.

Un film che è “uno straordinario documento storico ed etnografico, geografico della vita alla fine dell’Ottocento” perché, sottolinea il critico francese “il cinema dei Lumiére era, in nuce anche narrazione, non solo documentazione. In letteratura, gli anglosassoni dicono che la letteratura di non finzione è pur sempre letteratura, per cui questi film, anche a basso tasso di narratività, sono pur sempre cinema”.

A questo proposito, argomenta il critico francese, ciò che conta nella loro visione di cinema “è il gesto, il posizionamento della cinepresa. Conta cosa raccontare, come raccontarlo e soprattutto perché. Era fondamentale per loro mettere la macchina da presa nella posizione giusta, anche perché all’epoca non c’era visore, bisognava fare calcoli per la focale”. I fratelli cineasti, ricorda, infatti, il regista del doc “avevano un forte senso di responsabilità della macchina da presa. Sin dall'inizio fare cinema voleva dire assumersi la responsabilità etica delle immagini. E loro ne erano perfettamente consapevoli”.

Una dimensione ricettiva ed espressiva completamente stravolta rispetto a ciò che viviamo nei nostri giorni: “Oggi non ci si interroga sulla responsabilità delle immagini, su internet vediamo cose orribili. – denuncia Frémaux – Al cinema questo non si è mai visto. Questo doc deve farci riflettere sull'uso etico delle immagini. Lanzmann diceva che il cinema non ha filmato l'orrore dei campi di concentramento: è un'arte etica e deve essere uno strumento di pace. I nazisti non hanno lasciato tracce cinematografiche del genocidio”.

Al centro del film, inoltre, c’è anche la necessità di superare la dicotomia critica dei Lumiére come sinonimo di cinema del reale, Georges Méliès come cinema delle attrazioni. Per Frémaux, “i Lumiere riprendono la vita normalmente, ce la mostrano con uno stile naturalistico e semplice, scrivono il cinema attraverso la macchina da presa, il cui piazzamento nello spazio ha sempre un valore. Si possono amare le due famiglie, i due modi di intendere il cinema, perché non sono in opposizione ma complementari”.

Nonostante il portato storico e testamentario di Lumière – L’avventura del cinema, però, “non abbiamo beneficiato di nessun tipo di aiuti, è stata un’operazione molto costosa.-  ha denunciato Frémaux - Lo Stato non ci ha dato fondi, ci sono voluto parecchi soldi, una fortissima convinzione, e un grande coraggio da parte di tutti i miei collaboratori. Questo film è una testimonianza fondante della vita tra Ottocento e il Novecento, i Lumiere pensavano che dopo gli orrori e le guerre dell’Ottocento, il nuovo secolo sarebbe stato radioso e felice, e trasmettevano quest’idea nei loro lavori. Invece si è rivelato il periodo più terribile della Storia”.

Nel lungo e faticoso processo di restauro, inoltre, “l’intento è stato sempre quello di mantenere l’immagine nel modo più esatto e vicino a quella originale. Oggi con il digitale si può fare di tutto, ma ci siamo posti dei limiti: abbiamo mantenuto, per esempio, l’effetto polvere, il cosiddetto pelo dentro la macchina da presa. Non abbiamo fatto uso di intelligenza artificiale, solo umana. C'è un russo che su internet fa pirateria sui film dei Lumiere, usa il colore, impiega l'intelligenza artificiale, aggiunge musiche. Noi ci vogliamo mantenere l'autenticità della visione e dell’intenzione dell’autore”.

A questo proposito l’autore ha annunciato anche che, “a settembre, proprio per preservare le opere, apriremo Lumiere + una piattaforma dell'Istituto Lumiere in cui metteremo a disposizione degli utenti tutti i film dei cineasti. Ognuno potrà guardarli liberamente, così come erano stati concepiti in origine”.

Non solo archeologia della genesi del cinema, però, il plenipotenziario cannense si è sbilanciato anche sulle prospettive future della sala: “Cinque anni fa, per la prima volta, con la pandemia sono stati chiusi contemporaneamente tutti i cinema del mondo. Non era mai successo prima, neanche durante la guerra. E si è assistito, così, al trionfo delle piattaforme. Ma già quando cominciai a lavorare per il festival di Cannes, agli inizi del Duemila, tutti dicevano che il cinema era finito. La sua morte è stata annunciata di continuo. Ma i Lumiere hanno inventato la sala – Edison pensava solo allo stato commerciale del prodotto e non alla visione in comune - hanno girato duemila film per alimentare al passione e la voglia del pubblico. E contro le previsioni, i cinema ha trionfato ovunque. Anche i ragazzini di oggi che vivono sui telefonini, sono sempre gioiosi di andare al cinema”.

Di conseguenza, Frémaux traccia una strada per preservare l’esperienza cinematografica in sala: “In Francia c'è una politica che protegge il cinema, attuata dalla stampa, dagli artisti, dai professionisti. Ci vuole del lavoro dietro per proteggere questo patrimonio: per esempio Bologna è diventata, in Italia, un centro fondamentale per alimentare, con le loro molteplici iniziative, la cultura cinematografica”.

A proposito di Bologna e della sua Cineteca, fucina del restauro delle opere riunite nel doc, è intervenuto in conferenza stampa il direttore Gian Luca Farinelli, il quale ha definito il film di Frémaux “un’opera inedita, straordinaria e ricchissima, un film straordinariamente affascinante, perché mette in dialogo il cinema delle origini con quello attuale, proponendoci immagini di un passato remoto che altrimenti sarebbero rimaste invisibili. Faremo di tutto proporre questo film, che è un libro di testo sul cinema, sulla sua ontologia, non solo nelle università, ma anche nelle scuole” ha concluso il dirigente bolognese.