Quando avevo sedici anni, fresca di visione di Colazione da Tiffany, avevo scelto una gioielleria del centro della mia città per aggirarmi davanti alle vetrine stringendo fra le mani una colazione qualsiasi, mi sforzavo di sprigionare un’aria sognante e un po’ oscura e speravo con tutte le mie forze che proprio in quel momento passasse di là il ragazzo che mi piaceva e che senza dubbio, nella mia testa, avrebbe colto la citazione. Non avevo tubini da indossare, ma pantaloni e magliette nere dall’aria sconvenientemente dark che cercavo di addolcire spruzzandomi addosso il profumo mielato di mia madre, cui avevo assegnato lo stesso ruolo che nel look di Audrey Hepburn hanno le perle. Non era neppure un cornetto quello che stringevo tra le mani, ma un calzone ripieno o un altro prodotto da forno poco chic e molto del Sud, e naturalmente davanti alla gioielleria passava solo gente che non m’importava di vedere, né che mi vedesse. Per altro, non m’importava nemmeno dei gioielli buoni per le madri, nulla di più lontano dall’immaginario dark di un’adolescente degli anni Novanta.

Audrey Hepburn
Audrey Hepburn
Audrey Hepburn

Eppure, volevo essere Audrey per un quarto d’ora a settimana. Ne avevo bisogno per toccare la verità: ero e sarei restata una ragazza di provincia aliena in un mondo di ricchi e questa cosa mi avrebbe marchiato in modo più persistente di quanto potessi allora immaginare. Alla fine dello stesso decennio, un altro personaggio destinato a diventare immagine, la Carrie Bradshaw di Sex and The City, chiuse gli anni Novanta con queste parole: “Benvenuti nell’era dell’anti-innocenza! Nessuno fa colazione da Tiffany e nessuno ha storie da ricordare”. Frase a effetto, senz’altro, ma falsa: nessuno ha mai smesso di fare colazione da Tiffany da quando Holly Golightly è comparsa sullo schermo. Nessuna, per la precisione, ha mai smesso di pensare che un giorno sarebbe riuscita ad aspirare il fumo mandandolo su con aria svagata o a indossare lunghi guanti neri senza sembrare un’assassina. E nessuna ha mai smesso di illudersi che un giorno avrebbe avuto il coraggio di tagliarsi i capelli, anche se tutte sapevamo che corti stavano bene solo a Audrey Hepburn (tutte tranne Winona Ryder). Nessuna ha mai smesso di chiedersi che lavoro facesse davvero Holly Golightly, e tutte abbiamo dato risposte che avevano più a che fare con l’amore che con i soldi o il sesso, nonostante l’evidenza. Forse è questo che significa essere un’icona: disattendere ogni automatismo, in un modo del tutto privo di logica ma pieno di sentimento.