Prendere o lasciare, ma niente è più facile che rigettare. È una questione di costituzione, ognuno ha i suoi limiti, il suo metabolismo ed è esattamente l’organico che il cinema di David Cronenberg mette in gioco. Onirico, viscerale e poeticamente gore, il suo cinema ha il corpo come materia di creazione ultima. Violentato, aperto, cicatrizzato, trasformato, da sempre i suoi film preparano il crash.

Un incidente sorprendente e scioccante che ci sorprende e ci sciocca. Tutta la sua produzione si piazza sotto il segno della mutazione, lavora il corpo, terreno di sperimentazione che l’artista disegna e incide. Una cicatrice diventa trasfigurazione estetica, geroglifico da decifrare sulla pelle-pergamena. Sesso e patologia si confondono, sperma e virus si fondono in una circolazione di umori che defluiscono tra bocca e vagina, orifizio e piaga aperta.

Da Rabid a Maps to the Stars, da La mosca a A History of Violence, David Cronenberg filma il mostruoso al lavoro. Aggressioni, contaminazioni, mutazioni, sul corpo, sotto la pelle e l’epidermide della realtà. Rappresentazione bio-fantastica che non toglie niente alla complessità estetica e politica dei suoi film.

La mosca

Canto funebre del capitalismo in Cosmopolis, riflessione sul potere tentacolare delle immagini in Videodrome, sogno hollywoodiano fatto a pezzi in Maps to the Stars, la filmografia di Cronenberg riflette, sovente in maniera visionaria, il declino politico del mondo contemporaneo. Marginale del sistema che si sognava scrittore di SF, il suo primo romanzo è uscito nel 2014 (Divorati, Bompiani), l’autore ha la letteratura come universo di referenza. Kafka, Beckett, Nabokov, Ballard e soprattutto Burroughs ispirano il suo cinema mai girato negli States e fisicamente e psichicamente canadese.

La metamorfosi è il tema centrale della sua opera, declinata all’infinito con stile clinico. Con Cronenberg gli uomini subiscono le più incredibili trasformazioni. In Il pasto nudo i deliri del protagonista si incarnano sotto i nostri occhi attraverso gli effetti speciali ma in M. Butterfly, Cronenberg non ne ha più bisogno. Traslocato in una Cina trompe-l'œil racconta una volta di più un’esperienza limite in cui il fantasma di una passione è sufficiente a turbare. Reale, per il diplomatico francese di Jeremy Irons, resta il suo desiderio. Come dice Veronica facendo l’amore con Seth (La mosca), la carne (nel cinema di Cronenberg) rende folli.

Meglio riconoscerlo e sopportare i luoghi chiusi, perché i suoi protagonisti, prigionieri di un corpo mostruoso o di uno spirito malato, sono costretti in un interno serico (La mosca, Spider, M. Butterfly) o metallico (Crash, Cosmopolis).

Inseparabili

Profeta della “nuova carne”, David Cronenberg ha ricevuto il Leone d’Oro alla 75ma edizione del Festival di Venezia. Un Leone alla carriera che prende le misure delle alterazioni genetiche prodotte nel suo cinema nel corso del tempo. In un mondo divenuto una gigantesca clinica psichiatrica, più l’avere è vorace, più l’essere è nevrotico, i suoi film costituiscono una mappa, una cartografia ironica e poetica, l’indicazione di una strada creativa verso l’aldilà. Perché da un momento all’altro il cancro (alla prostata asimmetrica) può spuntarla.

Di fronte all’eventualità, Cronenberg reinventa la sessualità, estende il (suo) campo del possibile, evoca un alien sex sfrenato dove la macchina serve soltanto a fare l’amore (Crash) o speculazioni economiche (Cosmopolis). Dove la malattia del vincere confina con la patologia che insinua il suo cinema e incarna la nostra epoca.