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Gianni Di Gregorio sul set di Astolfo (Foto di Sara Petraglia)
“Avevo una paura tremenda di fare un film sull’amore: ci ho sempre girato attorno, ma alla mia età mi sembrava una pazzia”. Di anni ne ha 73, Gianni Di Gregorio, che torna davanti e dietro la macchina da presa con Astolfo, il suo quinto film presentato alla Festa del Cinema di Roma.
Una storia d’amore, inattesa e tardiva, tra un “professore” (“Mi sarei dovuto laureare in lettere, vengo da una famiglia di insegnanti: è il mio alter ego, chi potevo essere”), sfrattato dal suo appartamento romano, e una dolce vedova conosciuta nel paese in cui lui trova riparo, interpretata da Stefania Sandrelli.
“Non la conoscevo – spiega Di Gregorio – ed è stata una sorpresa pazzesca. Ero molto emozionato, Stefania è un mito. Ma soprattutto una ragazza piena di forza, ironia, simpatia. Ci siamo innamorati tutti di lei”. E rivela, con il suo sorriso contagioso: “Alla fine delle riprese ho pensato che se ci fossimo conosciuti quarant’anni fa magari ci sarebbe potuto essere qualcosa”.
Da dove nasce Astolfo? “La pandemia ha generato in me una reazione incontrollata, volevo raccontare una storia spensierata e allegra”. In Italia non si parla molto dei sentimenti degli anziani: “Ci sono molti pudori legati al corpo e non solo, all’estero c’è molto più coraggio. È un argomento che guardo con un occhio complice e assolutorio. Ho paura di tutto, quindi mi difendo ridendoci sopra”.
Difficile non rimanere affascinati dalla leggerezza e dalla cordialità di questo signore che, film dopo film, sta costruendo una commedia umana su temi spesso rimasti ai margini del cinema italiano. La chiave è nell’aderenza alla realtà: “Ogni volta cerco di negarlo – rivela – ma ciò che racconto è tutto vero, ci sono molti spunti autobiografici”.
Per esempio? “La questione della casa. Come nel film, anch’io ne ho una di famiglia, molto antica e problematica, nel teramano. E come nel film sono oltre cent’anni che i preti, con i quali confino, promettono di riparare la gronda. Niente, però mi hanno occupato delle stanze, sostenendo fossero di loro proprietà. Ora, per i danni causati dal terremoto, quelle stanze devono essere ristrutturate. E vogliono che le ripari io”.
Ma sono tantissimi i riferimenti alla vita reale: “Ho passato tre mesi nella mia vecchia casa – continua Di Gregorio – e anch’io, come Astolfo, mi sono ritrovato dei coinquilini forzati. Un giorno uno che si era proposto di farmi la spesa, poi il barbiere che non aveva talmente niente da fare che veniva a farmi la barba a domicilio, poi un altro ancora. Alla fine erano ogni giorno a casa mia a giocare a carte”.
Irresistibile il serbatoio di storie dell’attore e regista, dall’amico che si comporta da eterno adolescente “innamorato dell’amore” (nel film diventa il cugino, interpretato da Alfonso Santagata) ai figli della compagna di un cugino che mettono i bastoni tra le ruote della love story (qualcosa c’è nelle perplessità della famiglia di Stefania: “Le mamme non devono essere ostaggio dei figli”). Tutto nell’incantevole cornice di Artena: “Un Lazio antico, ho trovato molto calore umano. Il paese mi ha coccolato col vinello, ce l’ho fatta grazie a quella gente meravigliosa”.
Dopo il passaggio alla Festa, Astolfo arriva in sala dal 20 ottobre con Lucky Red. “È un momento cruciale – riflette il produttore Angelo Barbagallo – e noi continuano a crederci. Siamo fiduciosi: credo che la formula sia fare più film per il pubblico e quello di Gianni, così divertente, leggero, elegante, lo è. Parla agli spettatori della sua età, certo, ma spero che i giovani lo possano scoprire, superando quel preconcetto sul cinema italiano di qualità che però mi sembra invalicabile”.
E che farà della sua casa (quella vera), Di Gregorio? “Mi era venuta la voglia di non tornarci più, ma poi i ricordi hanno preso il sopravvento. Volevo liberarmene, ma come fai? È decrepita, nemmeno se pagassi qualcuno riuscirei a venderla. Non vorrei lasciare rogne a mia figlia, anche se ormai ha capito che per tutta la vita dovrà occuparsene. Ha studiato storia dell’arte, secondo lei si può datare attorno al Trecento, ma può essere pure più vecchia. Quando me l’ha detto ci siamo disperati, abbiamo capito che di questa casa non ci libereremo mai, e allora ci siamo bevuti una bottiglia di vinello”.