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Gianni Amelio sul set di Campo di battaglia - Foto di Claudio Iannone
(Cinematografo.it/Adnkronos) – "Se bastasse un film avremmo risolto tutto. Purtroppo i film sono cose piccole rispetto agli interessi del potere. Perché le guerre, sia quelle passate che attuali, nascono dai potenti e dalla bramosia di conquista". Così Gianni Amelio racconta il suo Campo di battaglia, primo dei cinque film italiani in concorso all'81esima edizione della Mostra del Cinema, dal 5 settembre in sala con 01 distribution.
Sul finire della Prima guerra mondiale, due ufficiali medici amici d’infanzia lavorano nello stesso ospedale militare, dove ogni giorno arrivano dal fronte i feriti più gravi. Molti di loro però sono impostori che si sono procurati da soli le ferite e che farebbero di tutto per non tornare a combattere.
Un film che, pur ambientato nell'ultimo anno della Prima Guerra Mondiale, risuona con forza nel presente. Il regista non si fa illusioni sul potere del cinema di cambiare il mondo ma sceglie comunque di raccontare e dare voce a chi non ha avuto la possibilità di farlo.
"La Prima Guerra Mondiale - sottolinea Amelio - fu una guerra quasi fatta 'a tavolino' dove poi l'Italia si è seduta insieme agli alleati ma è stata combattuta e vinta con il sacrificio di centinaia di migliaia di innocenti, civili e militari. Erano ragazzi di 19 e 20 anni, che non avevano addestramento e che per la prima volta si trovavano a combattere, corpo a corpo, con in mano un fucile".
Campo di battaglia non ci mostra le trincee, le cariche al fronte. La guerra che si vede nel film, spiega Amelio, "è raccontata all'interno di un ospedale, dove arrivano centinaia di feriti ogni giorno e ci sono due medici, due amici, che hanno due idee diverse di come guarirli: curare per far ritornare i soldati a casa o per rimandarli a combattere?".
Il film, racconta il regista, "tocca dei sentimenti che vanno al di là del tempo. Toccano cose che ci riguardano e pensieri che abbiamo fatto tante volte e domande alle quali forse non sappiamo dare ancora una risposta".
Sul perché il cinema italiano scelga spesso di raccontare il passato e non il presente Amelio risponde: "Forse dipende dal fatto che ho un'età, non penso al passato con nostalgia, ma, avendolo vissuto, probabilmente lo conosco meglio, e quindi scelgo di parlare di cose che mi appartengono. Non ho fatto la prima guerra mondiale, sono nato durante la seconda guerra mondiale, però, in qualche modo, lo sguardo che si rivolge al passato è sempre rivolto al futuro".
Campo di battaglia è interpretato da Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini: “Per me era importante raccontare una storia dove i personaggi fossero estremamente rigorosi e precisi ma che non dessero la possibilità allo spettatore di capire da che parte stare, chi fa la cosa giusta e chi sbagliata. Questo ci permette di uscire dalla sala e porci la domanda su cosa avremmo fatto noi e questo nel cinema è molto importante", spiega Alessandro Borghi, che veste i panni di un ufficiale medico che ogni giorno si confronta con un dilemma morale estremo: come comportarsi di fronte alla sofferenza dei soldati che ogni giorno arrivavano dalle trincee. "Quanto è umano levare la vista ad una persona promettendogli la salvezza?", si chiede Borghi.
Secondo l'attore "il contraddittorio che c'è nel film è stata la base di tutti i dettagli e le sfumature dei personaggi". Per l'attore, dunque, la forza del film sta proprio in questa ambiguità e riflette sul suo privato: "Cerco di essere una brava persona, ma commetto errori come tutti. La soggettività delle nostre azioni dipende dal contesto e dalle persone che frequentiamo. L'unica salvezza è interrogarci continuamente su cosa sia giusto fare".
In merito alla sua capacità di passare da un dialetto all'altro con naturalezza, Borghi risponde: "Mi dicono banalmente che ho un buon orecchio, anche con la musica: sono intonato e se mi danno degli strumenti dopo una settimana riesco anche a suonare delle cose". I dialetti, racconta Borghi, "fanno parte di una serie di sfide che mi piace affrontare per cercare di dare un'identità molto forte ai personaggi".
Gabriel Montesi invece è Stefano, altro medico impegnato a prendersi cura dei soldati: di famiglia altoborghese, con un padre che sogna per lui un avvenire in politica, è ossessionato da chi arriva in quell’ospedale come autolesionista e, oltre che il medico, fa a suo modo lo sbirro: "Penso che questo film non parli solo di guerra ma anche di sentimenti, conflitti interiori e di scelte difficili. E ci regala l'opportunità di riflettere sul passato ma anche sul presente".
Federica Rosellini infine è Anna, “una donna che ha studiato come medico, ma non si è laureata per una ragione misteriosa e che dice di aver messo la testa a posto. Ecco, il mio augurio è che le donne mettano meno la testa a posto e che possano introiettare sempre meno un sistema vessante rispetto al mondo femminile. Purtroppo le donne sono schiacciate da un sistema che a volte ci fa credere di non essere abbastanza forti o capaci per intraprendere determinate battaglie o per perseguire le nostre aspirazioni", dice l’attrice, che sul film conclude: “È importante avere una certa distanza rispetto all'evento storico, perché la distanza e il tempo ci permettono di capire che cosa non abbiamo imparato".