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Francesco Bruni e Fotinì Peluso (foto di Monica Fagioli)
Lui è l’autore italiano più bravo nel raccontare l’età giovane, la fragilità e l’inadeguatezza, con empatia e affetto, senza scindere l’umorismo dalla speranza. Lei è una delle attrici più folgoranti della sua generazione, capace di incarnare l’irrequietezza di chi si sente spaesata in un mondo ostile e il dolce stupore delle ragazze indomite. Lui l’ha voluta come figlia volitiva del protagonista di Cosa sarà e anima ferita in Tutto chiede salvezza. Lei quest’anno ha brillato anche ne Il colibrì e nella serie Greek Salad. Lui è Francesco Bruni, lei è Fotinì Peluso, ospiti del Lecco Film Fest, intervistati da Valerio Sammarco, per raccontare quello che, più che un rapporto tra mentore e allieva, è un incontro speciale.
Consacrato, appunto, da Tutto chiede salvezza, la serie tratta dal romanzo di Daniele Mencarelli e che ha spopolato su Netflix negli ultimi mesi. “Dopo quaranta pagine – rivela Bruni – ero totalmente preso, innamorato. Sapevo che c’era l’intenzione di farne un film con un altro regista, poi quando hanno pensato di farne una serie mi hanno chiamato. Ho accettato, anche se avevo la sensazione era che avesse la misura perfetta per un film. Con Mencarelli e gli sceneggiatori Francesco Cenni e Daniela Gambaro ci siamo impegnati a gonfiare il pallone, dare materia narrativa nuova”.
Così nasce Nina, che nel libro è un abbozzo: “È il personaggio femminile più bello che ho scritto, anche perché ho sempre fatto storie maschili in cui le donne erano di supporto, a parte in Cosa sarà. Nina è un personaggio ricchissimo e controverso: una ragazza viziata, isterica, insopportabile, intelligente, spiritosa. Le ho fatto un primo provino perché avevo voglia di vederla dopo Cosa sarà. Poi il tempo passava ma, niente, non trovavo un’attrice che mi convincesse. Allora mi sono detto: vediamo se troviamo una corda pazza”.
“Abbiamo lavorato tanto sulla psicologia del personaggio – spiega Peluso – perciò gli ho posto molte domande: perché reagisce così, da dove arriva la sua aggressività… In realtà è un dilemma che sento ancora profondo e vicino: quando la vita in superficie va molto bene, perdiamo di vista il senso della felicità. Nina ne è l’emblema: è un’influencer, un'attrice famosa, ma in realtà ha delle fragilità che non le fanno vivere bene la popolarità. Le sembra di aver preso un posto che non le appartiene”. Nina conferma la capacità di Bruni nel raccontare i più giovani: “È un’età drammaturgicamente molto interessante – spiega il regista – perché sei ancora una creatura in divenire. Conservo una memoria molto forte della mia adolescenza a Livorno, con Paolo Virzì, i sogni, le paure di non capire quale fosse il nostro posto nel mondo. Oggi ho anche l’esperienza di padre, conosco gli amici dei miei figli, sono interessato al loro mondo. E poi, diciamolo, quelli della mia età non sono appassionanti”.
Una mosca bianca in un panorama poco incline a capire sogni e bisogni dei giovanissimi, come spiega bene Peluso: “Con Francesco il lavoro è semplice: scrive in modo comprensibile, usa un linguaggio che capisco immediatamente. E in cui mi riconosco. In generale non mi sento interamente rappresentata da questo cinema: sono pochi i progetti che si concentrano sulla vita dei giovani senza essere edulcorati o troppo tragici. Non si mette in risalto la leggerezza. Bisogna essere più sinceri, evitare censure. Francesco, invece, sa cogliere il connubio tra leggerezza, curiosità, profondità”.
Tutto chiede salvezza è tra le produzioni italiane più viste su Netflix: “Mi fermano per strada – racconta Bruni – ma se ho fatto una serie è solo perché era l’unica possibilità per lavorare su quel romanzo. Dal 24 agosto saremo sul set con la seconda stagione: mi sono appassionato ai personaggi, dobbiamo andare oltre il clamoroso cliffhanger della prima stagione, capire come Daniele può affrontare il mondo fuori. Ma la visione sulla piattaforma non ha niente a che vedere col cinema: quando abbiamo proiettato in sala i primi tre episodi dela serie, ho sperimentato delle emozioni che non avevo provato al montaggio”. Si torna al cinema, quindi? “Non vedo l’ora di tornare. E tornerò presto. Mi ha colpito molto ciò che ha detto Xavier Dolan: ‘mi fermo, nessuno vede i miei film’. Ho molto amato Mommy e J’ai tué ma mère, ma lui è cresciuto in una sorta di bambagia, un enfant prodige che ha sempre trovato un posto a Cannes. I festival sono diventati dei vip club, propongono un tipo cinema che il pubblico non va più a vedere. Non è che tutti sono Marco Bellocchio o Paolo Sorrentino che sanno essere autori da festival ma anche amati dal pubblico”.
E sul grande schermo, nell’ultima stagione, Fotinì Peluso ha lasciato il segno nel Colibrì, nel ruolo della sorella del protagonista, Irene: “Mi emoziona molto. Mi tocca moltissimo trovare personaggi secondari che reggono il film, che hanno una presenza, sono così curati da diventare il perno del film. Ne Il colibrì il personaggio di Irene, la sua tragedia, è il motivo della storia. Ha una sua perfezione, si porta già dietro il suo background”.
Ridestare lo stupore, recita la frase che guida il festival: come fare? “La cosa più difficile nel recitare – riflette Peluso – è sorprendersi, non accontentarsi, non sapere la risposta, non dare per scontato. Vorrei tornare allo stupore di quando avevo cinque anni. E al gusto della noia, la cosa più prolifica della vita, quando i miei genitori mi lasciavano da sola in spiaggia senza nulla da fare: è la noia ad avermi permesso di sviluppare la creatività, a insegnarmi la necessità di stupirmi di fronte all’ordinario”.
E per Bruni: “L’artista deve mantenere una parte infantile: lo porta a essere bizzoso e egoriferito ma è necessaria per guardare il mondo con stupore. L’esperienza più stupefacente è stata diventare nonno: la sto vivendo con maggior stupore rispetto ai figli. Mia nipote mi ha ridestato lo stupore. E mia moglie, Raffaella Lebboroni, è la guaritrice”.