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Tom Cruise è Pete "Maverick" Mitchell in Top Gun: Maverick. © 2022 Paramount Pictures Corporation. All rights reserved.
Top Gun: Maverick, il film interpretato da Tom Cruise e diretto stavolta da Joseph Kosinski, sta avendo grande successo sugli schermi, con le platee a sognare il cielo, dopo i mesi del Covid passati a consumare cinema su minuscoli monitor di computer e tv. È il sequel, accidentato, del fenomenale Top Gun (1986), allora animato da un ragazzo Cruise e con l’esperto Tony Scott alla regia, fratello del geniale Ridley.
Già nel 2012 le imprese del pilota da caccia della Marina Usa Maverick, che irrita i superiori ostinandosi a volare troppo vicino alla Torre di Controllo con conseguenti spruzzi di caffè su divise immacolate, avrebbero dovuto avere un seguito, ma il suicidio di Scott, lanciatosi dal gigantesco ponte Vincent Thomas a San Pedro, porto di Los Angeles, interruppe il progetto, poi ritardato dalla pandemia Covid-19. Infine, Top Gun: Maverick è apparso, 36 anni dopo l’originale, con Cruise segnato, invecchiato, mostrato in una sequenza, dopo un incidente che mima quello dell’asso dell’aria Chuck Yeager, ripreso con il volto coperto di nerofumo in The Right Stuff (Uomini veri, orribile titolo italiano) di Philip Kaufman, 1983.
La risposta popolare è trionfale, record di incassi Usa, 160 milioni di dollari (stessa cifra in euro) nel primo week end, nel secondo 86, con oltre 700 milioni di ricavi nel mondo. Per il quotidiano Financial Times Top Gun: Maverick si oppone al primo film, non solo per la maturità del protagonista, da ventenne a sessantenne, ma anche per la mutata natura della superpotenza Usa.
Nel 1986 fiduciosa, ottimista, pervasa dal sorriso macho del presidente Ronald Reagan, alla vigilia della vittoria nella Guerra Fredda contro i nemici giurati dell’Unione Sovietica, certa dello slogan “È giorno in America!”, la “Sindrome Vietnam”, con la rotta a Saigon del 1975, dimenticata. Il capitano Pete “Maverick” Mitchell non ha fatto carriera, il suo rivale in Accademia, il pilota Tom “Iceman” Kazansky, il bravissimo Val Kilmer in entrambi i film, arrivato invece al comando della flotta nel Pacifico: dal vertice protegge la carriera del compagno con cui si sfidava per il posto di Top Gun N.1.
È la nazione della ritirata tragica da Kabul, dell’assalto a Capitol Hill, divisa, incerta, incapace di tradurre il predominio militare e tecnologico in egemonia, con i cinesi del presidente cinese Xi Jinping a minacciare le vie d’acque del Mar Cinese Meridionale, da dove transita il 70% delle merci, e circondare Taiwan, mentre Putin, dal Cremlino, riporta la guerra in Europa, sostenuto, a mezza bocca, da non pochi uomini di stato occidentali. Anche nella vita privata Cruise-Maverick deve fare i conti con il tempo, il sorriso smagliante con cui affascinava la professoressa Kelly McGillis nel 1986 lascia il posto alla solitudine cupa dei bar, cercando un vecchio amore troppo rinviato inseguendo l’adrenalina della guerra.
Lo bracca il rimorso per la perdita del fido compagno di volo “Goose” Bradshaw, il cui figlio “Rooster” Bradshaw (l’attore Miles Teller) è adesso, a sua volta, pilota da caccia, deciso a confrontare Cruise-Maverick con le ombre del passato, l’etica, la vita e il fato. Hollywood non parla della politica del XXI secolo, ci son capitali cinesi nella produzione e il nemico resta senza volto, ma la bravura di Cruise e Kosinski è celare, dietro le evoluzioni mozzafiato dei caccia F/A 18F Super Hornet, ormai affidati ai computer prima che al cuore del piloti, l’angoscia sul futuro della sterminata democrazia e, di conseguenza, dei suoi vecchi, malmostosi, alleati.