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Foto di Francisco Van Steen Proner Ramos
Il giornalista e politico brasiliano Fernando Gabeira pubblicò nel 1979 un libro di ricordi, dal titolo O que é isso, companheiro?, tradotto in italiano da Feltrinelli come “Che ti succede, compagno?”, in copertina una classica foto del guerrigliero argentino Che Guevara a bere mate. Nel 1969 Gabeira, 28 anni, aveva partecipato al rapimento dell’ambasciatore americano in Brasile Charles Burke Elbrick, ostaggio per 78 ore, liberato in cambio di prigionieri politici. Poi arrestato ed esiliato, dopo un nuovo scambio di detenuti, Gabeira proteggerà il killer italiano Cesare Battisti, durante la latitanza, per equivoco senso di solidarietà.
Invece, nel leggere Che ti succede, compagno? vi colpirà la saudade di Gabeira, racconto delle illusioni giovanili frantumate davanti a sangue, violenza, realtà. Raccogliendo le memorie, l’autore capisce l’errore e lo distilla in malinconia, incapace però di negare, due generazioni dopo, una mano a Battisti, terrorista del caso Torreggiani.
Anche da noi manca una riflessione analoga. Il recente saggio dello storico Miguel Gotor, Generazione Settanta (Einaudi), conferma come il nostro paese abbia preferito, a sinistra e destra, la totale amnesia sulla guerra civile di allora, surgelandola nel freezer di opportunismo e cinismo. Quando una nazione non fa i conti con il passato, però, esso le ritorna addosso, violento fantasma, a terrorizzarla.
Milioni di telespettatori si appassionano su Sky alla serie House of the Dragon, prequel della fortunata saga Trono di Spade, proprio perché il produttore e sceneggiatore Ryan Condal e lo scrittore George R.R. Martin sanno scatenare il potere del passato sul futuro. Guardiamo le gesta di eroi e canaglie tratti dal romanzo di Martin Fuoco e sangue (Mondadori) per dedurne vaticini sull’epopea dei Dragoni, che già ci aveva commosso.
Il passato domina il presente e indirizza i giorni a venire. Il Brasile di Gabeira resta lacerato tra opposti populismi, a destra Jair Bolsonaro, a sinistra l’ex presidente Lula, e il documentario Democrazia al limite, girato dalla regista nata a Belo Horizonte Petra Costa ne coglie con intelligenza il corto circuito. La destra che evoca efficienza e sviluppo, la sinistra che rivendica giustizia e diritti finiscono per apparire alla gente comune sabba confuso, incapace di ingaggiare sentimenti e ideali, senza innescare rabbia.
Anche il presidente cileno Gabriel Boric ha chiesto un voto contro la Costituzione redatta sotto il dittatore Pinochet, solo per vedersi sconfitto 62% a 38%. Per lui era un referendum epico sul passato, come fossimo nel nostalgico documentario Allende di Patricio Guzman, 2004, per i cittadini di una semplice questione fiscale. Lo spettatore del documentario di Petra Costa che riflettesse sugli esiti politici del nostro paese, dal trionfo di Grillo e Conte, nel 2018, a Draghi e al voto di fine estate ne vede il parallelismo. Costa è, come Gabeira, donna della sinistra brasiliana, suo padre era uno studente che si batté contro la dittatura militare, suo nonno fondatore della holding di costruzioni che ha portato agli scandali costati il governo alla presidente, ex rivoluzionaria, Dilma Rousseff.
Nel film per Netflix, Costa fa parlare i leader, Bolsonaro, Rousseff, Lula, e, pur non nascondendo le idee progressiste, finisce per far apparire la “democrazia” nobile passato degenerato in caotico presente. Nel suo classico romanzo del 1909 I vecchi e i giovani, Luigi Pirandello previde quel che accade alla democrazia quando si riduce ad ancella del passato: una inesorabile decadenza.